Una caratteristica distintiva del nostro futuro collettivo è che stiamo modificando sostanzialmente il nostro pianeta e, a nostro danno, facendo cose ordinarie.
Questa nuova era viene spesso definita l’Antropocene, in riconoscimento che la Terra è entrata in un nuovo periodo in cui gli effetti dell’attività umana sul pianeta (temperature, deforestazioni, precipitazioni, scioglimento del ghiaccio …) sono diventati paragonabili agli effetti derivanti dalla variabilità intrinseca della natura.
Se vale questa analisi, occorre anticipare il futuro cambiamento ambientale e rallentarlo con azioni drastiche, ma anche informazioni corrette, conoscenze adeguate e comportamenti conseguenti.
Ma come convincerci di ciò? Basta guardarci intorno, riflettere sulle temperature anomale, all’inverno senza neve, alla Catalogna che non ha più riserve d’acqua dolce. Sintetizzo qui due esempi clamorosi riportati dal quotidiano inglese “The Guardian”: la circolazione degli Oceani e la regressione della foresta Amazzonica.
La circolazione dell’Oceano Atlantico si sta dirigendo verso un punto di svolta. Gli scienziati hanno affermato di essere rimasti scioccati dalla velocità prevista del collasso una volta raggiunto il punto di non ritorno, ancora non del tutto definito, ma assai vicino.
Utilizzando modelli computerizzati e dati passati, i ricercatori hanno sviluppato un indicatore di allarme precoce per il crollo della circolazione meridionale dell’Atlantico ed hanno scoperto che siamo già sulla strada verso un brusco cambiamento, che non si verificava da più di 10.000 anni e che esso avrebbe implicazioni disastrose per gran parte del mondo.
Nella Corrente del Golfo si sta costituendo un “nastro trasportatore marino” che trasporta calore, carbonio e sostanze nutritive dai tropici verso il Circolo Polare Artico, dove si raffredda e sprofonda nelle profondità delle acque. Questa agitazione aiuta a distribuire l’energia intorno alla Terra e modula l’impatto del riscaldamento globale causato dall’uomo, interagendo con lo scioglimento più rapido del previsto dei ghiacciai della Groenlandia e delle calotte glaciali artiche, che riversano acqua dolce nel mare e ostacolano lo sprofondamento dell’acqua più salata e calda proveniente da sud.
L’articolo afferma che i risultati hanno fornito una “risposta chiara” sulla possibilità di un cambiamento brusco: “Questa è una brutta notizia per il sistema climatico e per l’umanità, poiché fino ad ora si poteva pensare che il ribaltamento fosse solo un concetto teorico, mentre, secondo i calcoli, il livello del mare nell’Atlantico aumenterebbe di un metro in alcune regioni, inondando molte città costiere”.
L’altro aspetto riguarda le stagioni umide e secche in Amazzonia, che si invertirebbero, a causa degli avvenimenti atlantici, spingendo potenzialmente la foresta pluviale già indebolita oltre il suo punto di non ritorno. L’emisfero meridionale diventerebbe più caldo. L’Europa si raffredderebbe drasticamente e avrebbe meno precipitazioni. Entro il 2050, tra il 10 e il 47% dell’Amazzonia potrebbe degradarsi e diventare un ecosistema diverso, causando un disastro ambientale regionale e una catastrofe climatica globale.
Per 65 milioni di anni le foreste amazzoniche sono rimaste relativamente resistenti alla variabilità climatica. “Ora, la regione è sempre più esposta a uno stress senza precedenti dovuto all’aumento delle temperature, alla siccità estrema, alla deforestazione e agli incendi, anche nelle parti centrali e remote del sistema”. Inoltre, il 38% del bioma forestale è stato danneggiato da siccità estreme, incendi, disboscamento e altri effetti critici causati dall’uomo.
In definitiva: l’umanità dovrebbe cooperare alla resilienza degli ecosistemi, evitando così il rischio di una transizione critica, anziché dilaniarsi in guerre che distruggono popoli e biosfera.
Le prove satellitari di campionamento dei due disastri in corso appena citati correlano fatti molto distanti tra loro, spiegano l’interconnessione di tutto il vivente con il resto dell’Universo e danno ragione a chi riflette tangibilmente sul crimine che una settimana di guerra in Ucraina e 20 giorni di massacri a Gaza equivalgono a un intero anno di emissioni di CO2 dell’intera regione emiliana e al rinsecchimento dell’intera regione centro amazzonica di Manaus. L’Antropocene ci ha davvero spostati in una nuova era.
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