Nella basilica varesina di San Vittore sono testimonianze artistiche della pittura del Seicento milanese-lombardo di grandissima qualità.
Opere ad affresco, per mano di Pier Francesco Mazzucchelli, detto il Morazzone, nella Cappella del Rosario; opere dipinte ad olio su tela e su tavola del medesimo, nella Cappella della Maddalena, ed una tela di Giovan Battista Crespi, detto il Cerano, nella cappella dei Morti, la prima a destra entrando.
Su questa intendo richiamare la vostra attenzione.
Si tratta della “Messa di San Gregorio Magno in suffragio delle anime purganti”, che il Cerano dipinse tra il 1615 ed il 1617, più probabilmente entro il settembre del 1617, quando fu “accomodato bellissimo l’altare” (La cronaca varesina di Giulio Tatto, edizione Leopoldo Giampaolo, Varese 1954, p.178).
Fateci caso: non episodi della vita della Vergine, o la Maddalena portata in cielo dagli angeli, che toccarono al Morazzone, ma il tema dell’indulgenza, come dire al Cerano “pensaci tu perché la figura della Vergine o quella della Maddalena le puoi benissimo immaginare, ma la messa di San Gregorio Magno che invoca l’indulgenza…”, uno scherzo da preti, come si usava dire, o forse, più propriamente, di qualche frate francescano predicatore!
Un pittore senza estro, scolastico, avrebbe impiantato in primo piano il Santo davanti ad un altare con un contorno di anime aleggianti attorno, come sciame di api ronzanti attorno ad un alveare.
Banale.
Per il Cerano l’invenzione dell’impaginazione della tela è formidabile.
Un braciere con carboni accesi piantato a sinistra, proprio a filo della cornice della pala. Fiammeggiano come se un mantice da sotto aumentasse la forza delle fiamme che vengono sospinte verso l’alto, secondo un moto diagonale, da sinistra al centro.
Da due fornaci con le bocche che vomitano fuoco e fiamme, quasi fossero infernali ma derivate per bene dalle fucine dei fabbri del tempo, o, esagerando, dai forni per il pane, sale una vampata di calore.
Le teste, sopra il braciere; a seguire il corpo di un uomo, un peccatore, che pare atteggiato come una antica divinità fluviale; il busto di una donna in primo piano, esprimono dolore ed anelano all’alto.
All’opposto delle fornaci si fa luce il busto di una donna che, con le mani giunte in preghiera, viene delicatamente sguardata da un angelo dal viso bellissimo, che giunge in volo dispiegando un’ala dal prezioso piumaggio, per abbracciare un corpo che sembra non credere al gesto salvifico.
Dalla donna in preghiera: è la preghiera che salva, prende avvio un vortice che, seguendo i gesti di tre angeli, il principale dei quali indica la salvezza nei cieli, s’indìa.
Una cortina di soffici nuvolaglie fatta di anime luminose mescolate con le nubi sfora nel più assoluto vortice di luce, mentre un cartiglio, ma forse, certamente, un nastro prezioso reca scritto il motto: DE MORTE – TRANSIRE – AD VITAM, ascendente, per dire che dalla morte si passa alla vita.
Da dove nasce il viluppo del nastro se non dal gesto di San Gregorio che a questo punto avvertiamo come il motore della scena, come il perno di un ventaglio che si squaderna a mezzaluna dal basso verso l’alto, dal fuoco rossastro della fucina di un fabbro alla più luminosa luce divina.
Un’opera veramente egregia, cioè fuori dal gregge, straordinaria.
Andate a vederla, non basta guardarla.
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