Essere antifascisti è una necessità in Italia, un Paese che non riesce a chiudere definitivamente i conti con le pagine più abiette del proprio passato.
Oggi appare chiaro che l’antifascismo deve cambiare natura, farsi più attivo, svilupparsi non solo a livello ideale ma anche e soprattutto a livello di azioni positive. Deve spingersi ben oltre le celebrazioni ufficiali del XXV Aprile e dell’Ottobre di Sangue varesino.
Stiamo parlando di un valore garantito dalla Costituzione, che è insieme diritto e dovere. Crediamo che sia giusto mantenere e sostenere le ricorrenze, che sono momenti in cui siamo chiamati a confrontarci con il passato, a ricordare le vicende di chi ha lottato per riconsegnarci alla democrazia, a chiederci altresì quali ragioni abbiano condotto l’Italia fascista sull’orlo dell’abisso da cui si è potuti arretrare solo grazie alla lotta resistenziale.
Questo è il momento di andare oltre le bandiere, oltre le etichette, oltre le appartenenze. È il momento di spendersi per sostenere le scuole nel processo di conoscenza dei valori costituzionali portando testimonianze dirette e indirette di donne e uomini che negli anni difficili del Ventennio e della guerra si ribellarono al fascismo pagando con la vita.
Solo alcuni nomi per noi varesini: Nuccia Casula, Walter Marcobi, Calogero Marrone, sono state persone che hanno contribuito insieme a tanti altri a scrivere la storia della nostra città. Dobbiamo preoccuparci seriamente per la presenza nel nostro territorio di frange giovanili estreme che inneggiano al nazifascismo, spesso pronti a passare dalle idee ai fatti: un fenomeno che deve interrogare chi si professa antifascista.
Ma prima di rispondere alla domanda “Come è possibile che dei giovani vengano attratti da ideologie di morte come il nazifascismo?” dovremmo riconsiderare il senso e le modalità con cui esprimiamo a più di settant’anni di distanza, il nostro antifascismo.
Sappiamo che questa scelta richiede una precisa presa di posizione contro la brutalità di un regime che ha abusato del potere e ha strutturato la sua forza sul sopruso e sull’ignoranza della popolazione.
La Storia ci documenta che si è trattato di un passato violento, di sopraffazione, di indottrinamento impositivo, di retorica belligerante, del mito di un capo che rese impossibile la crescita culturale e politica di un’intera nazione. Ci porta a prendere atto del precipizio morale a cui l’Italia fu condotta fino all’abominio delle leggi razziali e all’alleanza con il nazismo.
Fu la Resistenza a condurre il Paese alla democrazia, che è indiscutibilmente antifascista, come antifasciste sono per definizione tutte le democrazie. I democratici perseguono valori che si oppongono ad ogni fascismo. Si impegnano per arginare l’odio e l’intolleranza, combattere il razzismo e il sovranismo, affermare e consolidare i valori libertà, fraternità e uguaglianza, patrimonio dell’intera umanità.
Per questo e per molto altro, non possiamo non dirci antifascisti. Siamo obbligati a esserlo da una Costituzione antifascista, in una nazione nata dalla sconfitta del fascismo rifiutando vie intermedie come quella di definirci “afascisti” o “non fascisti”.
Affermò Carlo Rosselli, assassinato in Francia dai fascisti: “Siamo antifascisti perché la nostra patria non si misura a frontiere e cannoni, ma coincide col nostro mondo morale e con la patria di tutti gli uomini liberi”.
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