La scomparsa di Vittorio Emanuele di Savoia è di spunto a ricordare un fedelissimo al suo casato. In tempi lontani, popolati da uomini di speciale caratura.
Sulla “Cronaca Prealpina” del 28 maggio 1911 apparve un necrologio in memoria di Zozimo Deleglise, morto per improvviso malore. L’annuncio venne dato dalla moglie Elisa Bianchi Bellinetti, dalle figlie Maria e Annetta, da tutti gli altri parenti. I funerali si sarebbero tenuti nel tardo pomeriggio -era una domenica- partendo dalla casa di piazza Porcari al numero 10. Dopo la celebrazione religiosa nella basilica di San Vittore, il feretro avrebbe avuto come meta il cimitero di Giubiano.
Ci fu larga partecipazione di varesini. Il cavalier Deleglise, 82 anni, era conosciuto e apprezzato. “Ancora pochi giorni orsono, col nobile portamento soldatesco che gli era proprio, vegeto e robusto, era tra gli amici che lo amavano e lo stimavano. Oggi lo piangono desolati”. È l’incipit d’una memoria con la quale proprio la “Prealpina” diretta da Giovanni Bagaini volle omaggiare il personaggio. Che era d’alto profilo. “Aveva fornito prove di eroismo sul campo di battaglia e si era meritato alte onorificenze per il suo valore; perché era modesto, veramente modesto e pareva quasi sdegnoso di farsi avanti, di far valere i titoli, gli importanti titoli che poteva vantare alla gratitudine patria”.
Era nato il 28 giugno del 1829 a Saint Martin la porte, nel circondario di S.Jean de Morienne, e apparteneva “…a quella forte stirpe di soldati che ha sempre dato la popolazione della Savoia”. A diciannove anni è già militare, partecipa alla battaglia di Novara, poi decide di rimanere sotto le armi. Nel 1855 parte con la spedizione piemontese diretta in Crimea, dove rimane due anni contribuendo a battere il nemico e scampando al colera. Tornato in patria, risponde alla nuova chiamata alla guerra nel 1859, quando Vittorio Emanuele accetta il guanto di sfida lanciatogli dagli Austriaci: si segnala tra i più valorosi nella battaglia di San Martino e ottiene la medaglia d’argento al valor militare. Il decreto d’assegnazione spiega che “…vedendo il proprio sottotenente ferito e sul punto di cadere nelle mani dei nemici, se lo caricò sulle spalle e lo portò fuori del pericolo. Poi, ritornato al suo posto perché tutti gli ufficiali erano feriti, ed era ferito egli pure, prese il comando della compagnia e lo tenne durante tutta la giornata. E il comando gli fu lasciato perché poco dopo fu nominato sottotenente”.
Non risultò l’unica onorificenza ricevuta. Le si affiancarono quelle concessegli da Napoleone III e dalla regina Vittoria d’Inghilterra per la guerra di Crimea; la medaglia di partecipazione alla campagna del ’59; la croce dei santi Maurizio e Lazzaro; e infine la croce d’ufficiale della Corona d’Italia di cui era stato insignito un paio di mesi prima di morire, il 27 marzo dell’11. Era infatti italiano a tutti gli effetti, avendo deciso di optare per questa nazionalità quando nel 1860 i nativi della sua terra d’origine furono chiamati a scegliere.
A Varese venne quand’era alla conclusione della carriera militare, probabilmente portandola a termine nel presidio locale. Vedovo d’una prima moglie, conobbe qui la donna che sarebbe stata la sua seconda sposa e che ebbe tre figli, tra i quali Anna. Dall’unione di Anna con l’ingegner Mario Belli sarebbero nati Luciano e Italo, che Varese conoscerà per molti anni come primario del reparto di radiologia dell’ospedale di Circolo e per la meritoria attività di volontariato in campo medico-assistenzialistico nell’associazione “Varese con te”.
Proprio Anna fu una delle prime crocerossine di Varese, partecipando al corso tenuto nel 1914 dal comitato locale della Cri diretto dal professor Scipione Riva Rocci, direttore dell’ospedale. Il caso vuole che la Croce Rossa avesse avuto origine proprio durante la battaglia di San Martino e Solferino, ove così egregiamente s’era comportamento il tenente colonnello Deleglise, suo futuro marito.
“Rimase sempre attaccato -disse Italo Belli del nonno- alle sue radici savoiarde. Una cosa che gli faceva particolarmente piacere era di recarsi nella pineta dei Giardini estensi ad ammirare, nei non rari incantevoli tramonti, il profilo del Monviso, sulla direttrice della sua Savoia”. Quando il tramonto calò su di lui, un raggio d’ammirazione non mancò di sopravvivergli. E continua a essere benissimo individuabile, sostando in silenzio davanti al suo sepolcro di Giubiano.
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