Al di là dei motivi immediati di disagio, che talvolta sono anche in contraddizione tra loro, la protesta degli agricoltori europei esplosa sia a Bruxelles che un po’ dappertutto in Europa, Italia compresa, non è sindacale ma politica: attiene alle decisioni sullo spazio che si deve riconoscere all’agricoltura e alla cultura rurale nel nostro Continente, nonché al luogo delle decisioni al riguardo.
Quando negli anni ’50 del secolo scorso, insieme alle prime istituzioni europee nacque la PAC, Politica agricola comune, si trattava di affrontare un problema di emergenza: l’Europa, devastata dalla Seconda guerra mondiale, doveva al più presto ritornare all’autosufficienza alimentare. Perciò l’agricoltura venne “commissariata”, tanto più che sul mercato internazionale di allora non si era certi di potersi facilmente rifornire di alimenti. In una decina d’anni la situazione mutò completamente: l’agricoltura europea cominciò a produrre troppo i pochi prodotti di base verso cui era stata spinta nel dopoguerra e il problema diventò lo smaltimento sottocosto delle sue eccedenze in altri continenti. Terminata l’emergenza post-bellica, la cosa più giusta da fare sarebbe stata quella di restituire rapidamente l’attività agraria al mercato. Invece lo si fece lentamente, poco e male anche per garantire un futuro alla grossa burocrazia che si era formata a Bruxelles attorno alla PAC. Frattanto nuovi vincoli venivano imposti all’agricoltura europea in nome di una politica dell’ambiente fortemente condizionata dall’estremismo “verde”, ora culminata nel cosiddetto Green Deal.
Adesso tutti i nodi stanno venendo al pettine, in un tempo in cui gli agricoltori sono ormai poca gente che conta pochissimo in termini elettorali, e non ha dalla sua l’attenzione e la simpatia a priori dei media di cui godono minoranze urbane tra le quali in particolare i “verdi”.
Oggi la PAC va ribaltata: non deve nascere più a Bruxelles per venire poi da lì calata ovunque in Europa, ma nascere per sintesi dai territori con tutte le loro specificità e da lì venire portata a Bruxelles. I ministeri dell’Agricoltura degli Stati membri devono mettersi a funzionare in senso opposto da come funzionano adesso, e così pure le associazioni nazionali di rappresentanza degli agricoltori.
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