Sottotitolo: Quel prato di Bresso, verde e invitante sotto un cielo clemente di mezzo sole, non ce lo dimenticheremo più. E la fanfara dei bersaglieri che dava il benvenuto a passo di carica per i viali senz’auto; e il serpente infinito di volontari di ogni colore, rossi, gialli, verdi e fosforescenti; e il sindaco della città cinto di tricolore, alla testa della Banda, che ci ringraziava di essere venuti; e i giocolieri di strada, i venditori di bandierine, i baristi pazienti, i bambini sui balconi a salutare, le cancellate e i davanzali traboccanti d’oro e di bianco. E il ferroviere che blocca il treno – aspetta, ancora tre! – per non lasciare a terra nessuno, e poi ti dice: “Salutatemi il Papa”.
Un mondo così, un clima così. Eppure si era partiti al mattino presto, zaino leggero di acqua e panini, col cuore timoroso e pronto alla ressa, alla fatica, ai disagi e agli imprevisti. Il Papa, poi, figurati se lo vediamo, chissà come saremo lontani, tanto valeva stare a casa e accendere il televisore che si segue meglio. Alcuni addirittura vanno a messa il sabato, per “viverla sul serio”, perché lì, in mezzo alla cagnara, sarà un disastro.
Ma la realtà, come sempre, è imprevedibile e straordinaria. Riesce sempre a spiazzare le aspettative piccine dell’uomo. Infatti: le coincidenze dei treni funzionano, sia pure con qualche aiutino contingente, il tratto a piedi è tranquillo, l’ingresso all’aeroporto ordinato e i gabinetti senza coda (!!) . Prima sorpresa: il prato è un vero prato, verde, con tanta erba di giusta altezza, con le strade a dividere i settori appena segnate, un vero prato da pic nic; il servizio d’ordine – ma quanti volti conosciuti, ma quelli di Varese sono tutti qui? – è di aiuto e senza rigidezze; gli schermi sono numerosi, visibili, ben sistemati. Si sceglie la postazione, si scaricano le spalle, mentre magicamente zaini e borsoni si trasformano in seggiole da campo. Siamo un milione, pare, ma com’è che dietro di noi ritrovo gli amici di Casciago, e poco più in là un parroco di Milano che conosco da anni, e l’impiegato di banca che vedo ogni settimana?
Di botto, un corri corri generale: Benedetto è qui, passa la papamobile, tutti assiepati lungo le transenne per vederlo meglio, per salutarlo, per applaudire. E sì, lo si vede proprio da pochi metri, fragile e sorridente, raggiante anzi. Stanco, lo si capisce dai gradini che gli fanno salire letteralmente a braccia, sostenendolo di peso. Ma la voce prende forza via via che la Messa procede, e la predica ha un’energia inaspettata. Tra le tante, una frase che segno sul libretto: “L’essere dono di sé all’altro è ciò che fa della persona la vera immagine di Dio”, ed è proprio questo il succo della vita famigliare, non siete d’accordo? Sul prato, un silenzio attento e partecipato: i bambini continuano a giocare, a rincorrersi, strano a dirsi ma non si sentono; i più piccoli dormono sotto gli ombrellini, altri mangiucchiano la merenda, ma è giusto così, il popolo di Dio è un vero popolo in carne e ossa, adulti, anziani e bimbetti. Perfino il momento della comunione riesce ad avere una parvenza di ordine, e sono momenti di raccoglimento e meditazione, come stessimo celebrando una messa al campo tra pochi amici scout.
Ci avevano pregato, all’inizio della celebrazione, di non applaudire e abbassare gli striscioni: ma alla fine, ci scateniamo in un battimani lunghissimo, agitando bandierine e fazzoletti, alzando cartelli, gridando il nostro affetto e il nostro sostegno a quest’uomo che è davvero Benedetto, maestro di fede e roccia di speranza, forte della forza che è di un Altro. Siamo andati per lui, per ascoltare e anche per dirgli il nostro affetto, il nostro sostegno, la nostra gratitudine in un momento difficile e durissimo. Questo il Papa l’ha toccato con mano, se salendo sull’aereo per Roma, ha confidato al Cardinale Scola: “Sono più consolato che stanco; e poi, in questi viaggi, c’è una Grazia speciale…”.
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