In questi giorni – mesi, anni – in cui sembra che i rapporti tra le persone, tra i popoli, tra gli Stati possano essere improntati solo all’odio, in cui si seguono le notizie solo per dovere d’informazione e si cerca di resistere all’ansia che ne deriva, mi sono soffermata a riflettere con sollievo su un’affermazione di Michela Murgia, che ho trovato in rete e che mi ha distolto dai pensieri cupi: «Le amicizie pluri-decennali sono un bene raro che va molto manutenuto, perché sono fatte dell’unica cosa che non si può ripetere, il tempo».
Il tempo, appunto: sono loro, i miei amici da decenni, i custodi del tempo che ho vissuto, coloro che, con la loro presenza, evitano che la cattiveria del mondo mi sottragga quello che ancora mi resta da vivere.
Le mie amiche conoscono di me sentimenti, emozioni, pensieri che non avrei potuto condividere con altri, sanno quali sono le mie forze e le mie debolezze; ho ascoltato i loro consigli, preso decisioni importanti sorretta dalla loro comprensione e dal loro appoggio; c’erano nei momenti felici, e nei momenti dolorosi alcune sono ricomparse, dopo parecchio tempo, per viverli insieme a me. Ora che siamo “diversamente giovani”, ci rispecchiamo nelle reciproche fragilità, ma non abbiamo perso l’ironia e se ci troviamo in un luogo pubblico, spesso ci guardano stupiti e compiaciuti perché siamo ancora capaci di ridere e di intenderci al volo con intatta complicità.
Ho un’amica dall’età di sei anni, altre dall’adolescenza, compagne di scuola, altre ancora dai vent’anni e dai trenta, spesso colleghe di lavoro. Con alcune ci siamo perse di vista per lunghi periodi, ma quando ci siamo incontrate di nuovo, il nostro rapporto è ripreso come se non si fosse mai interrotto. Quando ci lasciamo andare all’amarcord, ognuna ricorda qualcosa che le altre hanno dimenticato e così ricostruiamo il puzzle delle nostre vite.
Una di loro diventò mia amica quando avevamo quindici anni; abitava vicino a casa mia e ogni mattina mi fermavo sotto casa sua per andare a scuola con lei; c’era un ciliegio, nel giardino vicino, che scandiva le stagioni – ricordo come, in primavera, ci rallegrasse la giornata. Tra di noi c’era una tale confidenza che ci scambiavamo i diari personali. Ora il ciliegio continua a scandire le stagioni e lei non c’è più da sei anni, eppure ancora adesso mi trovo a pensare, dopo aver vissuto qualche esperienza particolare, “questa gliela devo raccontare” oppure “chissà cosa dirà quando lo saprà”: è solo un lampo che mi balena in testa prima che mi renda conto che non posso più farlo. Perché, anche se una parte di me se n’è andata con lei, una parte di lei continua a vivere in me, in ciò che penso, nel modo in cui affronto i problemi, nell’atteggiamento che ho verso gli altri.
Anche le amiche più recenti sono fondamentali per me, che non ho famiglia né fratelli, tuttavia solo con quelle di vecchia data si può dire “ti ricordi quando…”. E l’espressione non ha il significato di un malinconico ritorno al passato, ma è un modo vitale per ritrovare se stessi.
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