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FABIO GANDINI - 01/02/2024

clochardÈ un lunedì come tanti altri: ha il retrogusto lungo del weekend, ma è ammantato di frenesia, schemi mentali di ripartenza e memoria di abitudini sovrapposte, da ripetere – purtroppo – di nuovo.

Di ritorno dal caffè li trovi lì, ritti davanti al cancello. Lui, alto, robusto e incanutito; lei piccina, bionda e occhialuta.

Va avanti lei, con una vocina cui non daresti credito se non prestassi subito attenzione al significato delle parole che pronuncia; lui segue sempre, ma le sue affermazioni confermano ogni volta il carico, anzi lo raddoppiano. Non hai scampo.

Dopo essersi informati su chi del gruppo degli astanti reduci dalla colazione fosse il giornalista, vengono subito al dunque: «Settimana scorsa è morto John. Di freddo. Alla stazione. Vorremmo che non si ripetesse più una cosa del genere, siamo appena stati dal sindaco».

Tanti concetti insieme, persino troppi da due persone che hai conosciuto 30 secondi prima. “John è morto di freddo”, però, non puoi far finta di non averlo sentito.

E allora non importa chi siano lui e lei, ma chi rappresentano: sono due volontari dell’associazione Sanità Di Frontiera, che da 15 anni a Varese cura stranieri svantaggiati e persone senza fissa dimora. A Davide Galimberti hanno appena detto quello che stanno dicendo a noi, hanno manifestato la rabbia, la vergogna, lo sconcerto, la delusione, la disperazione di fronte a una tragedia da incuria. Chiedono un megafono.

Eccolo.

John era un clochard di circa 40 anni. Ed era un alcolista, per questo è morto di freddo: lo hanno trovato nel pomeriggio del 22 gennaio, in un immobile dismesso vicino allo scalo varesino, annientato da temperature che la notte prima avevano raggiunto i -5 gradi.

John non è morto del suo vizio, ma per il suo vizio, perché nei dormitori non c’è posto per chi è come lui, così come non c’è posto per chi è dipendente dalla droga. I letti sono pochi, le regole ferree: ha diritto di precedenza chi non è un soggetto a rischio di disturbare gli altri ospiti o gli operatori.

Sembra assurdo che fra gli ultimi ci possano essere differenze, ma è così: ci sono gli ultimi, poi gli ultimissimi.

Spacciati, per colpa o per destino.

Sanità di Frontiera Varese spiega che la tremenda vicenda sopra descritta è solo «la punta dell’iceberg del degrado in cui molti invisibili continuano a vivere».

«Riteniamo perciò necessario che per i più fragili, e innanzitutto gli alcolisti ed i tossicodipendenti, sia creato un dormitorio pubblico protetto con spazi e personale adeguati a far fronte alle criticità: un infermiere, un educatore e un OSS», scrivono in una nota.

Alle istituzioni hanno chiesto anche altre azioni: un’indagine sulla morte di John, per capire se davvero sia stato escluso dai letti destinati all’emergenza freddo pur avendo fatto richiesta di un posto; un incontro col prefetto per razionalizzare il numero e la distribuzione dei posti letto; l’apposizione di una targa in stazione in ricordo del clochard perito, con una cerimonia che ripercorra la sua storia; la trattazione dell’argomento nel prossimo consiglio comunale varesino.

E che il suo sacrificio sia l’ultimo. In questa città, calda di benestare, che ancora accetta che si possa morire di freddo.

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