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Il racconto

LEVATRICE E REZDORA

LUISA NEGRI - 26/01/2024

rezdoraBenvenuta. Così l’avevano chiamata. E con quel nome – beneaugurante davvero – si presentava alle sue donne. Che le chiedevano di essere assistite durante la gravidanza e, soprattutto, al momento del parto in casa.

Arrivava a domicilio con la vecchia bicicletta, o anche a piedi, dipendeva dalle distanze da coprire ma soprattutto dall’urgenza dell’evento.

Mostrava un sorriso rassicurante e la voce, profonda e gioiosa, dispensava consigli preziosi. Le partorienti, anche le primipare, sentivano di potersi affidare a lei in piena fiducia.

Noi bambini, portati alla luce proprio da lei, la guardavamo come si guarda all’arrivo della notte Santa. Sentivamo la forza di un evento grande, fissavamo maliziosi e perplessi la borsa un po’ usurata, fatta di strisce di pelle intrecciate. Pensavamo, ma forse ce lo avevano anche lasciato credere, che i fratellini venissero da lì, consegnati dalle sue mani appena usciti da quella sporta casalinga e magica. Durante il parto eravamo affidati alla cura dei vicini e così aspettavamo di poter correre a vedere il neonato cantando e giocando in sfrenata allegria, al riparo da ogni possibile turbamento.

Benvenuta ci conosceva uno per uno, sapeva i nostri nomi, naturalmente. E quando tornava poi, per controllare la puerpera e l’ultimo arrivato, ci coccolava e consolava tenendoci sulle ginocchia, seduta vicino al tepore della cucina economica. Ci viziava persino, se ne aveva il tempo. Ci sentiva, a ragione, figli un po’ suoi.

Ricordo una giornata d’estate con lei, nella campagna appena fuori dal centro città, a spasso tra l’oro del mais e i profumi buoni delle verdure dell’orto.

Ma prima aveva voluto farci assaggiare la cassata, acquistata in pasticceria. Quel mestiere pesante, che le aveva affaticato cuore e gambe -lo rivelavano le labbra violacee e i polpacci percorsi da grosse vene- era la sua forza. E la sola ricompensa alla brevità di un matrimonio, troncato dalla vedovanza precoce, che le aveva concesso un unico figlio.

Mi è venuta in mente, così, la sua cara immagine.

E come non sentire oggi, oggi che la vita pare non contare più niente, un groppo in gola per lei: la brava e affezionata ostetrica che ne sapeva più d’un medico, ma s’esprimeva con la semplicità pura e le chiare parole di noi bambini.

Come non pensarla e rivederla da protagonista assoluta d’una esistenza trascorsa bene. Proprio una dea Lucina, cui la rinascita del dopoguerra, dopo tanti lutti e dolori, affidava il compito fondamentale di portare nuova vita e amore in un paese devastato per anni.

E come non immaginarla infine, ancora oggi, impegnata da vera donna in quell’ambiente matriarcale. Dove le donne, anche le donne, comandavano. Perché sì, nessuna novità, in silenzio e con fermezza comandavano già allora, ogni volta che fosse necessario. E dirigevano l’armonia familiare con la bacchetta d’un amore buono e severo insieme, senza gridarlo, senza darlo a vedere, senza nulla togliere o pretendere di troppo. Dove le oggi vituperate e abusate parole ‘matriarcato’ e ‘patriarcato’ avrebbero potuto essere concretamente intese, da chi sapeva ‘leggere’, nel loro significato anche positivo.

Abbiamo tutti sentito parlare delle rezdore: in dialetto emiliano, coloro che reggono, governano. Delle loro giornate impegnate, di quel saper mettere insieme ogni cosa, lavoro e cucina, cura della casa e dei figli, aiuto nei campi e nella buona amministrazione. Basterebbe leggere qualche libro di Giuseppe Pederiali per ritrovare un mondo. Quando anziani, deboli e bambini avevano la giusta attenzione e cura. Forse molto più di oggi, dove si presta apparentemente molto riguardo alle parole, ma nella realtà mancano i contenuti concreti e dominano egoismo e superficialità.

Per sentirsi come le rezdore conta non tanto saper tirare la pasta dei tortellini, come ti fanno credere oggi navigando sul web, ma saper dosare e mettere d’accordo tutto, praticità e affetto, concretezza e leggerezza, forza e garbo nella quotidianità della vita in comune. E reciproco era il rispetto di coppie che si volevano davvero bene e usavano ripartirsi oneri (tanti) e onori (pochi) lontano dalle luci della ribalta, con il sorriso sulle labbra.

Benvenuta, la dea Lucina di un’infanzia ormai lontana, era proprio al centro di quel mondo lì.

Una rezdora di vita. Fatta di un’altra pasta.

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