Siete mai andati a Castello, in Valsolda?
La Valsolda da sola merita una gita. Bisogna andarci in auto da Lugano-Gandria, passare la frontiera ed arrivare ad Oria. Molti sanno che lì c’è la dimora di Antonio Fogazzaro, meritamente valorizzata dal F.A.I. dopo la donazione del marchese Giuseppe Roi, familiare del grande scrittore del decadentismo italiano.
Ancor meglio, e vorrei dire certamente più suggestivo, sarebbe arrivarci per via di lago, a partire da Porto Ceresio.
Si avrebbe così modo di capire il lago, come la vita su di esso si svolgesse da sponda a sponda, specialmente quando non era stata tracciata la strada automobilistica che per la Valsolda risale al 1936.
Ma l’invito vale anche per tutto il percorso da Porto Ceresio a Porlezza.
Intanto vedreste come si dilungano sulla riva le case dei paesi che vi si affacciano, come li hanno visti i nostri vecchi, come li vedono i pochi pescatori del lago.
Vi suggerisco solo due spunti. Vedere il prospetto del Santuario di Santa Maria dei Ghirli di Campione d’Italia, che si propone in tutta la sua magnifica architettura, fa capire il messaggio che si voleva affermare di fronte a tutti quanti percorrevano il lago: il mistero dell’Annunciazione della Vergine. Se arrivate via terra non capite assolutamente l’importanza del santuario.
Passare davanti alla chiesa di Santa Maria degli Angeli a Lugano lascia intendere che lì davanti ci fosse un porticciolo al quale attraccare per andare a vedere lo strabiliante tramezzo affrescato da Bernardino Luini: una recita del Rosario, come un Sacro Monte sintetizzato sulla parete, anticipatore del nostro sopra Varese.
Il lago va vissuto dall’acqua e non stando nell’automobile.
Torniamo a Castello. Bisogna salire alla chiesa di san Martino, dopo aver comodamente parcheggiato l’auto proprio lì sotto.
Aprire la porta e sentirsi risucchiare da una ventata di cielo è tutt’uno perché il pittore Paolo Pagani, nativo del posto, ha realizzato una volta affrescata nel 1697, con l’Assunzione della Vergine che squarcia il cielo animato da figure che diventano colore e luce, nel più puro spirito del barocco.
Bisogna riprender fiato, accomodarsi su una panca e, girando continuante la testa di qua e di là, avvertire come la volta dell’unica navata abbia perso il peso proprio della costruzione e diventi invece mobilissimo, svariato cielo nel quale la luce modella corpi fisicamente verosimili, accogliendoli entro vani appena accennati in chiaroscuro grigio-verde-celeste, che non consentono di stabilire un punto di appoggio.
Se si vuole vivere l’esperienza visiva della metamorfosi del barocco che ci coinvolge in maniera entusiasmante bisogna andare a cercare questa chiesa perché ne vale la pena viverla dentro. E anche se il barocco vi risulta a priori indigesto, perché non ve l’hanno fatto capire, vi assicuro che lassù incomincerete a ricredervi. Andateci.
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