Il voto presidenziale in USA nel prossimo novembre – mentre stanno iniziando le votazioni alle “primarie” dei due partiti nei singoli stati – condizionerà anche l’Italia e ha già tutti gli ingredienti per diventare la più tesa competizione degli ultimi decenni. Da una parte un presidente uscente democratico visibilmente “cotto” come Joe Biden (che Trump chiama “il dormiente Joe”) e che per tutti i sondaggisti ha deluso gli elettori; dall’altra il più divisivo dei candidati, quel Donald Trump che ogni giorno riempie le cronache giudiziarie e mondane vivendo di eccessi e polemiche.
In campo democratico c’è imbarazzo e preoccupazione: non si può che candidare un presidente uscente (soprattutto quando anche la sua vice Kamala Harris non ha certo entusiasmato e quindi non può sostituirlo), ma la candidatura Biden è spenta e poco convinta, oltretutto offuscata dai pesanti scandali politico-finanziari del suo entourage famigliare e in particolare i maneggi del figlio Hunter con l’Ucraina tramite una sua società
Se un candidato alternativo potrebbe essere il governatore della California Gawin Newson, o Biden si auto-ritira (e ad oggi sembra non avere alcuna volontà di farlo) magari motivando la scelta per motivi di salute o non ci sarà partita: il candidato democratico sarà lui.
Dall’altra parte c’è Donald Trump, il contestatissimo ex presidente che non ha perso un giorno nel quadriennio per dare spettacolo, litigare, accusare tutti ed essere al centro di mille controversie giudiziarie. Un Trump spumeggiante, irrefrenabile, polarizzante, che sommerge ogni altro potenziale avversario interno repubblicano, ma che – candidandosi – darà proprio ai democratici l’unico vero leitmotiv di campagna elettorale: una “chiamata alle armi” per la necessità assoluta di sbarragli la strada “per il bene del paese e del mondo” tentando di richiamare al voto ogni elettore democratico possibile, anche quelli più scettici verso Biden.
Mancano ancora dieci mesi al voto ma la polemica è già totale mentre viene messa in dubbio la possibilità stessa di Trump a candidarsi alle elezioni visto che in alcuni stati (democratici) gli è stata negata la partecipazione già alle “primarie” repubblicane ritenendolo responsabile dell’assalto a Capitol Hill di tre anni fa e quindi del reato di “cospirazione”.
La norma risale al 1868, quando – appena finita la guerra Civile – i legislatori decisero di introdurre una clausola per impedire a “cospirazionisti e insorti” (leggi i “sudisti”) di avere un ruolo pubblico. Per questo in oltre un secolo e mezzo è stata applicata solo per il presidente della Confederazione sudista Jefferson Davis e il suo vice Alexander Stephens, peraltro poi amnistiati.
Alla fine deciderà probabilmente la Corte Suprema, a maggioranza repubblicana, anche se diversi stati a maggioranza democratica (Minnesota, Michigan, New Hampshire e California) hanno già ammesso Trump alle “primarie” rigettando i ricorsi contro di lui.
Trump intanto gongola, si tiene stretta tutta la scena gridando allo scandalo e al suo presunto personale martirio, accusando i giudici democratici di essere pupazzi di parte. Nella pratica tiene così saldamente in mano il pallino delle primarie repubblicane dove, peraltro, nessuno sembra più in grado di insidiarlo.
Ma se Trump è fortissimo all’interno del suo partito (e avrà sicuramente in tasca la “nomination” se alla fine andrà alla conta) non avviene lo stesso nell’elettorato GOP (repubblicano) dove solo una parte degli elettori lo vede come ideale Comandante in capo, ma molti altri lo detestano sia per il carattere e l’estremismo del personaggio sia perché rischia di mettere in forse una vittoria (quasi) certa contro Biden per il conseguente aumento, per reazione, degli elettori democratici e così permettendo un possibile rimescolamento di carte, soprattutto se si astenessero dal voto per protesta anche dei repubblicani anti-Trump.
C’è da dire che i sondaggi danno oggi comunque Trump in testa contro Biden in 5 dei 6 stati-chiave, quelli che di solito condizionano le elezioni, ma – appunto – poiché negli USA quasi metà dei potenziali elettori poi non votano bisogna capire cosa succederà effettivamente il 5 novembre al termine di una campagna elettorale che tutto sarà tranne che noiosa.
C’è ancora aperta anche la questione del sistema di voto che sembra premiare i democratici. Anche questa volta sarà permesso infatti il voto postale, in molti stati anche con schede votate o almeno inviate dopo il 5 novembre. Un altro aspetto fonte di ulteriori polemiche (e delle proteste di Trump sul voto nel 2020), ma sul punto ogni Stato è libero di applicare una propria legge elettorale e quindi ogni decisione centrale non sarebbe comunque vincolante.
Certo che – Biden o Trump che sia – pensare che la prima potenza al mondo sia domani in mano a uno di questi due quasi ottuagenari e discutibili personaggi non può che lasciare molto perplessi
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