Forse se non ci fosse stato un giornale – un foglio di grandi dimensioni tipo Espresso anni ’60 – chiamato Giornale della Lombardia il Parco lombardo della Valle del Ticino, nato esattamente mezzo secolo fa, non esisterebbe. La redazione era a Milano in Foro Bonaparte. La pilotava un marchigiano vulcanico di grande umanità, Manlio Mariani, cronista attento e appassionato di Lombardia, dall’80 direttore della scuola di giornalismo dell’Ordine dei giornalisti L’aveva percorsa in un lungo e in largo in veste di inviato speciale del Giorno di Italo Pietra, il grande quotidiano innovativo e controcorrente fondato da Enrico Mattei.
Espressione di una trasversalità civile che accomunava differenti aree culturali e politiche milanesi, il periodico di Mariani era sostenuto da personalità di grande rilievo come l’avvocato Achille Cutrera, Piero Bassetti, Fausto Bagatti Valsecchi, Carlo Smuraglia, Giulia Maria Crespi. Autorevoli colleghi come Vittorio Emiliani, Antonio Airò e lo stesso Giorgio Bocca, tutti all’epoca accasati al Giorno, davano una mano a Manlio che dalle colonne del quindicinale aveva posto la questione ambientale al centro del suo progetto editoriale. La tutela della valle del Ticino, il fiume azzurro, e delle vie d’acqua ad essa intrecciate come i Navigli, stava diventando un problema scottante.
Grazie a interventi puntuali e a inchieste contropelo il Giornale della Lombardia riuscì a richiamare l’attenzione della grande stampa milanese e a smuovere anche la pachidermica Rai. Da più parti si cominciò a chiedere finalmente la tutela rigorosa di un patrimonio ambientale in parte già eroso e compromesso da un dissennato prelievo di inerti per l’edilizia lombarda e per quella del Cantone Ticino – dove i prelievi in terra elvetica erano proibiti da anni; dalle lottizzazioni immobiliari promosse dalla emergente borghesia milanese di recente arricchimento; dalla conseguente penetrazione di strade e stradine nel tessuto boschivo; dalla nascita di esclusive riserve di caccia; da allarmanti sversamenti di inquinanti nelle acque del fiume, dalla minacciosa costruzione di raffinerie e persino da prospezioni petrolifere.
Sembrava quindi destinato a soccombere il grande corridoio biologico che unisce – via Po – il Lago Maggiore e l’Adriatico. La crescente sensibilizzazione dell’opinione pubblica milanese e delle province di Pavia e Varese spinse la giovane Regione Lombardia a stringere i tempi e a trasformalo in parco con legge regionale n. 2 del 9 gennaio 1974. A sostegno dell’iniziativa la bellezza di 22 mila firme raccolte in mesi di lavoro e di mobilitazione.
Oggi il Parco compie cinquant’anni, copre novecento chilometri quadrati distribuiti fra quarantasette comuni, protegge specie viventi del mondo vegetale e del regno animale. La fetta a protezione naturale integrale è di 22.249 ettari. Qualche anno dopo divenne parco anche la sponda piemontese del Ticino integrandosi con quella lombarda. Una sfida vinta ma mai chiusa vista la costante necessità di ricercare soluzioni sostenibili con la presenza di infrastrutture imponenti e invasive come la Cargo City di Malpensa.
Per il Parco del Ticino si annuncia ora un lungo calendario di festeggiamenti ma anche di approfondimenti tecnico scientifici, di escursioni, di riflessioni sulla ulteriore tutela della straordinaria bellezza dei luoghi sottratti allo svilimento e alle privatizzazioni selvagge.
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