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Società

QUEL BUE

GIOIA GENTILE - 12/01/2024

presepe

Il presepe dal lager di Wietzendorf

Finite le feste natalizie, passata anche l’Epifania, si smantellano i presepi, quasi tutti. Ma ce n’è uno in particolare che rimane al suo posto, custodito in una teca nella Basilica di S. Ambrogio a Milano. Fu costruito nel 1944 nel lager di Wietzendorf, in Germania, da uno dei seimila soldati italiani internati in quel campo, dopo l’8 settembre 1943, per essersi rifiutati di combattere a fianco dei Tedeschi e di aderire alla Repubblica di Salò.

Non ne conoscevo l’esistenza, me l’ha fatta scoprire, ancora una volta, Andrea Cherchi, fotografo milanese ricco di sensibilità e attento non solo ai panorami della sua città, ma anche alle piccole storie quotidiane e ai particolari importanti che spesso guardiamo senza vedere.

Tra gli internati del lager c’era un artista trentenne, Tullio Battaglia, sottotenente di artiglieria, soprannominato “Mastro Wietzendorf” per la sua abilità nel costruire oggetti di vario genere con il materiale di fortuna che poteva recuperare in quel luogo. All’avvicinarsi del Natale del ’44, Battaglia ebbe l’idea di creare un presepe che rappresentasse la varia umanità che cercava di sopravvivere nelle condizioni estreme in cui la prigionia la costringeva.

Tutti i suoi compagni collaborarono all’opera, realizzata di nascosto, di notte, con il legno dei letti, con del fil di ferro e con piccoli ricordi che ognuno custodiva come tesori: un fazzoletto di seta del tenente Bianchi diventa la tunica di Gesù Bambino, il pelo dell’agnello è la fodera del pastrano del capitano Bertoletti, un’estremità della tonaca del cappellano, padre Ricci, è il vestito di San Francesco. I pizzi del manto della Madonna sono ricavati dal fazzoletto che una ragazza ha donato al fidanzato in partenza per la guerra. Ogni parte del presepe racconta la storia di uno di quei ragazzi e tutta l’opera rappresenta l’Italia: in una tipica cascina lombarda c’è la tessitrice che confeziona la bandiera italiana, ci sono il pastore calabrese e lo zampognaro abruzzese; c’è il soldato, nella sua uniforme malconcia portata con dignità; e c’è persino un barbaro – l’allusione è chiara – che depone la sua arma ai piedi della mangiatoia. E poiché il lavoro si svolgeva di notte, ogni internato si privava di parte della sua magra dose di margarina per farne candele ad illuminare l’attività dell’artista.

Il presepe fu posto su un altare improvvisato dove, la notte di Natale, venne celebrata una Messa clandestina e, dopo la liberazione, fu portato in Italia dai sopravvissuti e donato alla Basilica di S. Ambrogio con tutte le sue statuine. Tranne una: il bue restò a Wietzendorf, a tener compagnia ai soldati caduti.

Il 17 dicembre 2023 una delegazione di cittadini di Wietzendorf è venuta a Milano e ha consegnato all’Abate di S. Ambrogio un nuovo bue, in segno di riconciliazione e di speranza. Ora il presepe è davvero completo, sotto la stella cometa di filo spinato. Credo che la sua forza espressiva possa toccare il cuore di tutti, credenti e non, forse anche di quegli ineffabili individui che in questi giorni a Varese, a Moncalieri, a Cesena e in altre parti d’Italia hanno sottratto dai presepi – a volte anche colpito e amputato – la statua di Gesù Bambino.

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