I giornali italiani confinarono la notizia e la relativa sorpresa in quelle che poi si sarebbero definite le “brevi”, trafiletti in secondo piano creati per riportare senza approfondire. C’era già forse il germe del generale (con poche eccezioni) disinteresse “tipizzato” dei quotidiani di casa nostra verso i fatti troppo “lontani” (e all’epoca il lontano lo era per davvero), ma anche delle giustificazioni oggettive: il dibattito interno era accesso sulla dicotomia tra neutralità e interventismo e poi, all’improvviso, sugli sforzi delle cronache si abbatté il flagello del terremoto di Avezzano, con i suoi oltre 30 mila morti.
Oltre confine, soprattutto in Gran Bretagna, l’eco che la stampa diede all’evento fu invece stentorea. I giornali di Londra iniziarono a pubblicare le lettere che i soldati dal fronte avevano inviato alle loro famiglie, missive che descrivevano l’accaduto con toni tra lo stupefatto e l’orgoglioso. A ruota arrivarono poi le prime foto, materiale raro ed eccezionale per quel tempo. Times e Mirror anche in quel caso si spartirono la linea editoriale, come sempre cane e gatto: pur approvando il comportamento dei guerreggianti, il secondo newspaper fece notare argutamente che la guerra sarebbe in ogni caso presto ripresa. E quindi…
Per “Tregua di Natale” del 1914 si intendono gli episodi di cessate il fuoco assolutamente spontanei, cioè decisi dai gradi più bassi degli eserciti e spesso deplorati dai superiori, avvenuti nelle Fiandre, sul fronte belga della Prima Guerra Mondiale che vedeva schierati l’una contro l’altra la corona inglese e la Germania.
La guerra di trincea, tipica di quel conflitto, era ancora agli inizi, ma aveva già versato il suo carico di orrore e sofferenza, prostrando l’anima di coloro che erano costretti a interpretarla, chiusi giorno e notte in spazi angusti e costretti a uccidere un nemico speculare dal quale li divideva nient’altro che terra orlata di fili spinati, bombe e corpi già annientati ma nemmeno sepolti.
Qualcuno, quel 25 dicembre, disse “stop”, senza che nessun accordo ufficiale fosse pattuito. Alla Vigilia i soldati tedeschi iniziarono a mettere candele a mo’ di decorazione ai bordi delle loro trincee, così come sugli alberi nelle vicinanze. Dall’altra parte, nel completo mutismo dell’artiglieria, gli inglesi iniziarono a fare lo stesso, quindi il vento cominciò a trasportare il suono delle prime canzoni natalizie, in un botta e risposta di lingue e tradizioni diverse.
A poco a poco la cosiddetta “terra di nessuno” si riempì allora di persone, di uomini che dopo mesi trascorsi nel buio dell’odio rivedevano una luce materiale ma anche metaforica: i due schieramenti si incontrarono, si strinsero la mano, si scambiarono in dono cibo, tabacco e alcolici. Alcuni storici riportano addirittura di improvvisate partite di pallone organizzate sul posto, oltre che di uno sforzo condiviso per seppellire – senza l’incubo dei proiettili volanti sopra la testa – i compagni già morti.
Il desiderio di umanità e di pace del singolo riuscì, almeno per un attimo, a essere più forte della sete di potere che usava la guerra come strumento per essere soddisfatta.
Ci potrà essere una Tregua di Natale anche in questo 2023? I fronti da silenziare sarebbero molteplici, più o meno tristemente famosi, ma nessuno di noi ha in mano i destini di quelle parti di mondo. E non siamo nemmeno come quei soldati di inizio secolo, che passarono le loro feste su un campo di battaglia: la nostra guerra è quella che combattiamo sui terreni della semplice quotidianità.
Contro gli altri, per i motivi più disparati. Contro noi stessi, perché non ci accettiamo e ambiamo a conquistare altra vita senza curare quella che già abbiamo. E allora sì, una tregua è davvero ancora possibile: è in un silenzio che ascolta, è in un perdono che disarma chi ha provato a farci del male, è in una vita che ama ogni giorno e in un’esistenza vissuta appieno, senza che la si voglia a tutti costi cambiare.
Diamo e diamoci tregua.
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