Nell’antica Roma, nei mesi invernali “durante l’arcano lavorio della natura” in attesa del risveglio primaverile, si svolgevano molti riti per lo più espiatori. Il 17 o il 18 dicembre – la data è diversa a secondo del periodo storico – iniziavano i grandi festeggiamenti in onore di Saturno, la divinità che aveva regnato nell’età dell’oro. Con i Saturnalia, che duravano fino al nostro 25 dicembre, ritenuto dai Romani giorno del solstizio d’inverno, si celebrava il ritorno sulla terra del sole, il Sol invictus. Ben sappiamo che per cristiani è il giorno che rappresenta un altro sole, illuminante la civiltà.
L’importante festa dei Saturnali deve essere ricordata, soprattutto, per il suo significato, inattuale ma di grande interesse. Giulio Vaccai in Le feste di Roma antica ricorda che Saturno – secondo una leggenda – era considerato come colui che aveva insegnato anche l’uso della moneta e le regole del vivere civile. “Per lui - scrive lo studioso – l’uomo si riteneva essere passato da barbarie a civiltà, e a questo benefico cambiamento negli usi sociali alludeva l’uso di scambiarsi doni durante i Saturnali”. Si portavano in giro lumi accesi, simbolo della nuova luce, “venuta dagli ammaestramenti del Nume, e del calore quale elemento indispensabile alla produzione e alla vita”. Durante i festeggiamenti gli schiavi sedevano al tavolo con i padroni, quale ricordo di uguaglianza antica. Un momentaneo e vero mondo al contrario. Anche se i pochi giorni di festa non erano tali da sovvertire i ruoli sociali preesistenti, testimoniavano un modo di convivenza civile.
I Saturnali sono inattuali ma ci fanno riflettere sul valore delle feste e di come si festeggiano. Certamente non si possono paragonare le luminarie della nostra civiltà dei consumi con i ceri dell’antica Roma. E ancor meno lo scambio di regali. Ma ci autorizzano alla domanda: dimmi come festeggi e ti dirò chi sei. O meglio come vivi dicembre, il tempo dell’attesa. Forse tra la folla rigurgitante (come già la descriveva Carlo Dossi nella Seconda metà dell’Ottocento, con l’unico scopo di spendere perché i soldi – secondo lo scrittore scapigliato – sembran pesare nelle saccoccie? anche se ora non pesano le saccoccie ma l’inflazione), la frenesia degli acquisti non manca. E in fondo anche da adulti ci piace la filastrocca, “Zio Dicembre” del bravo Roberto Piumini. Zio Dicembre attacca palle d’oro, argento, rosse e gialle. Zio Dicembre fa regali sempre belli, sempre uguali. Zio Dicembre fa l’abbacchio, cuoce torte, sbatte l’uovo…
Gli italiani smarriti e affetti da sonnambulismo per i problemi futuri, secondo l’impietosa fotografia del Censis, cercano anche in questo dicembre una terapeutica serenità. Lo aveva ben capito Michail Bachtin, affermando che il momento celebrativo del rito, qualunque esso sia, è importante per l’esistenza umana perché porta la rinascita, il cambiamento, il rinnovamento e la rigenerazione. Anche per questo Natale in cui forse, nonostante la maschera di serenità, molti si sentono con tanta stanchezza sulle spalle come Ungaretti, appena rientrato dal fronte, per cui non aveva voglia di tuffarsi in un gomitolo di strade. Ma dobbiamo continuare a sperare nel vero sol invictus per uscire dalle nostre barbarie.
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