Mi era piaciuta la proposta della premier Meloni di tassare gli extraprofitti bancari non dovuti a speciali “meriti” imprenditoriali dei banchieri ma automatici per l’esponenziale crescita dei tassi BCE senza però poi riconoscerli alla clientela: facile far soldi così.
Con rammarico ho preso poi atto atto che la proposta è andata man mano evaporando perché tutti si sono schierati contro: Banca d’Italia, BCE, media, giornali, opinionisti. Tutti (disinteressati?!) a difendere il grande capitale (sinistra compresa) ed attaccando “l’imprudenza” della Meloni che – in fondo – per una volta aveva avuto il coraggio di affrontare il torbido e opaco mondo della speculazione e della finanza.
Ancora una volta i “grandi” riescono sempre a farla franca, i “piccoli” vengono bistrattati, a parte l’ampia ed eccessiva platea degli evasori per i quali credo si stia esagerando con “sconti & stralci” e sui quali credo sia ora di stringere.
Una buona notizia (se si concretizzerà e la storia non finirà come con le banche) è che sarebbero stati sequestrati 779 milioni di euro a Airbnb, colosso della prenotazione alberghiera on-line per presunta evasione fiscale. Un primo passo per mettere un po’ d’ordine nella speculazione – sconosciuta ai più – nel campo delle prenotazioni turistiche.
Sui social sembrano offerte sempre convenienti ma In realtà a pagare – e profumatamente – per quelle prenotazioni sono gli stessi albergatori (ma spesso i turisti questo non lo sanno) che sono obbligati a versare poi alle varie catene on line – come Booking.com, Venere, Trivago, Expedia e Airbnb – percentuali intorno al 18% dell’incasso.
Una percentuale molto alta e che diventa ancora più ingiusta perché queste catene di prenotazione, non avendo sede in Italia ma in paradisi fiscali, a loro volta non pagano le imposte sui loro grandi profitti con un danno di miliardi di euro per l’erario italiano e di tutti i paesi dove si trascorrono le vacanze.
La sentenza su Airbnb è poi un precedente importante perché un concetto fondamentale dei principi fiscali europei è che le imposte andrebbero pagate là dove vengono prodotti i redditi che le generano e quindi i profitti per soggiorni italiani dovrebbero essere tutti sottoposti alle nostre normative fiscali e non dove c’è la sola sede legale.
Più in generale il problema di Airbnb (che ha evaso la cedolare sugli affitti) introduce poi anche quello della “sparizione” degli appartamenti che prima venivano dati in affitto e i cui proprietari preferiscono rivolgersi appunto ai motori di ricerca sottraendoli al libero mercato. Ciò porta a enormi disastri dal punto di vista sociale, come ben sanno tutte le persone, gli universitari o le giovani coppie che (invano) cercano casa, soprattutto nelle città e nei centri turistici.
Questo fenomeno speculativo ha assunto proporzioni gigantesche: sono diventati “turistici” almeno 32.000 appartamenti a Roma, 25.000 a Milano, 12.000 a Firenze per un totale di oltre mezzo milione di appartamenti a livello nazionale. Questi redditi – come quelli finanziari delle banche – spesso sfuggono al fisco sia per i proprietari degli immobili che per le società di gestione di cui Airbnb è la massima espressione, così come si sfugge dai controlli di polizia in un sistema di locazione “in nero” che non solo fa concorrenza sleale agli albergatori “ufficiali” ma crea anche una grande sacca di evasione fiscale.
Il duplice aspetto della tassazione dei redditi dei siti web da una parte e l’emersione dell’evasione dei redditi dei fabbricati “turistici” dall’altra potrebbe portare all’introito per il fisco di molti miliardi di euro che si spera vengano poi investiti nella sistemazione proprio di quei monumenti, strutture e servizi che possano sviluppare e rilanciare il turismo italiano che è in caduta libera nel mondo rispetto alle scelte turistiche mondiali di qualche decennio fa.
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