Nel cristianesimo orientale tutto inclina a ispirazioni e fiducie mistiche, con tracce negli abiti e nei paramenti sacri, nel carattere simbolico delle decorazioni rituali e soprattutto nell’architettura di chiese e conventi, monasteri e chiostri, ora splendidi, ora riecheggianti la semplicità e la povertà del Cristianesimo primitivo.
Soprattutto sono tre i momenti che caratterizzarono il distacco da Roma, prima la politica ecclesiastica dell’Imperatore Giustiniano (527-565), uomo di grande energia, famoso per la codificazione del diritto canonico, con l’interesse principale per la teologia, che condivideva, come il potere, con la moglie Teodosia (m. 548), così come coinvolta nelle discussioni dottrinali .
A coronare il loro regno lungo e ardimentoso sorse la cattedrale della Divina Sapienza. Ritenendosi fedele custode dell’ortodossia Giustiniano fu uno spietato persecutore non solo di ebrei e pagani, ma soprattutto degli eretici, tra cui non annoverò mai i monofisiti. Col Decreto dei tre capitoli (543) volle censurare tre eminenti teologi della scuola di Antiochia, incontrando l’impopolarità dei calcedoniani e resistenze in Occidente. Nemmeno i monofisiti si lasciarono impressionare dall’autoritarismo dell’Imperatore, che andava elaborando sue formule teologiche imponendole con la forza: si riteneva responsabile di fronte a Dio dell’ortodossia dei suoi sudditi.
Un secondo momento di rottura si ebbe con l’iconoclastia e il settimo concilio ecumenico (787), essendo dominante nell’Impero la dinastia isaurica ( 717-867). Lo scopo era quello di moderare l’eccessiva venerazione delle sacre immagini che raffiguravano Gesù Cristo, la Madonna e i santi e di opporsi al monachesimo, ai pellegrinaggi e alla speciale venerazione di cui erano oggetto taluni santuari (sullo sfondo il monoteismo e la teologia semplificata dell’Islam). Il primo editto ad ordinare la rimozione delle icone dalle chiese viene emanato nel 725 con la protesta del Papa Gregorio II e del miglior teologo di quel tempo in Oriente, Giovanni Damasceno.
I Papi sono costretti a trovare nuovi protettori, rinvenuti nei Franchi. Nel 753 un Concilio a Costantinopoli dichiara che la sola rappresentazione legittima del Salvatore è l’Eucaristia (eretico quindi l’aspetto umano). Il settimo concilio ecumenico del 787 ripudia la decisione del precedente, distinguendo però fra tra adorazione dovuta soltanto a Dio e la venerazione per le immagini sacre e riafferma la vera umanità del Cristo; ribadisce l’indipendenza della Chiesa dallo Stato.
Sullo sfondo il Credo sancito a Costantinopoli, rifacendosi al testo del Vangelo di Giovanni, cap.XV, v. 26, dice che lo Spirito Santo procede dal Padre; invece i vescovi occidentali con Carlo Magno opponevano la presenza anche del Filioque, ostacolo ancor oggi nei rapporti tra Oriente e Occidente.
A seguire lo scisma di Fozio (820-891), nominato Patriarca nell’858, ma non riconosciuto come tale (vescovo legittimo) da Papa Ncola I. I suoi legati a Costantinopoli però erano dotati di una lettera che subordinava il riconoscimento di Fozio alla restituzione alla giurisdizione papale delle province dell’Italia Meridionale, della Sicilia e dell’Illiria, tagliate fuori da Roma all’epoca dell’iconoclastia. Dopo una seconda deposizione Fozio è rieletto Patriarca alla morte del Papa, venendo a morire in esilio nell’891.
Nell’aprile del 1054 tre legati mandati da Leone IX a Costantinopoli per concordare un’alleanza con l’Impero si scontrano in un’aspra contesa con il Patriarca Michele Cerulario, di mentalità ristretta e presupponente. Il Cardinale Umberto di Mourmontiers, vescovo di Silva Candida, uno dei legati, approfittò della notizia sopravvenuta della morte di Leone per deporre sull’altare della Cattedrale di Santa Sofia un bolla di scomunica agendo di propria iniziativa e grida alla folla esterrefatta :Videat Deus et iudicet.
Tra i fatti imputati al Patriarca la cancellazione del Filioque. La rottura definitiva tra Roma e Costantinopoli si registra con una sede papale vacante.
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