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Attualità

CANTO E CONTROCANTO

SANDRO FRIGERIO - 15/12/2023

Ossola e Vaghi negli anni ‘70

Ossola e Vaghi negli anni ‘70

Un anno e mezzo è troppo poco, e quattro decenni sono troppi, per esercitare un ricordo collettivo, per dedicare una via? Andiamo con ordine. Martedì 5 dicembre, in una riunione di Consiglio comunale viene approvata una mozione presentata dal sindaco Davide Galimberti per “dedicare una via, una costruzione o un luogo significativo della città” ad Ambrogio Vaghi, scomparso nel luglio dello scorso anno a 95 anni.

Vaghi era stato l’autorevole capogruppo del Pci negli anni ’70, ai tempi delle amministrazioni guidate dal democristiano Mario Ossola. Giovane partigiano, così come Ossola (catturato e sfuggito due volte ai nazifascisti), era stato maestro e giornalista nell’immediato dopoguerra, poi dirigente di rilievo del movimento cooperativo. A Varese ha lasciato non solo fiori ma anche opere di bene, in particolare un rilevante lascito alla Fondazione Molina e, cosa nota da poco, un’altra per le opere del quartiere Belforte, dove aveva a lungo vissuto e dove sta rinascendo il Castello. A lungo figura chiave della So.Crem Società per la Cremazione varesina, vogliamo ricordarlo anche come autorevole autore di numerosi articoli apparsi fino a un paio d’anni fa su RMFonine.it.

Sembrava un’operazione sul velluto, ed è ampiamente passata con i numeri della maggioranza, laddove l’opposizione di centro destra si è invece messa di traverso, votando contro o astenendosi, impedendo quindi un’unanimità. «La maggioranza recentemente ha negato ad altri un analogo riconoscimento reclamando il mancato requisito dei 10 anni dalla morte, adesso noi ci opponiamo allo stesso modo»: questa in sintesi la posizione espressa, “rendendo la pariglia” al mancato tributo a Silvio Berlusconi, peraltro mai nominato in seduta.

Il vincolo dei 10 anni in effetti esiste, ma è derogabile con approvazione prefettizia e, giudizi politici a parte, sarebbe arduo individuare qualche particolare merito “varesino” per l’ex presidente del consiglio. Per fortuna, nessuno ha sollevato problemi con la recentissima dedica dell’ultimo tratto di Via Montalbano ad Angelo Monti, il “sindaco galantuomo”, Monello della Motta, democristiano, scomparso a 91 anni lo scorso marzo, che nel 1992 resse per 13 giorni le sorti della città travolta dall’onda di Mani Pulite. Vaghi – che probabilmente nessuno di quanti gli hanno fatto mancare il voto favorevole aveva mai conosciuto, era netto, ma non divisivo. Insomma: un passo indietro che si poteva evitare.

Salto indietro di 48 ore. Domenica 3 dicembre in una Sala Estense gremita, viene consegnato dal sindaco Galimberti e dal presidente del Consiglio Comunale Coen Porisini il premio della Martinella a Francesca Rovera. Vera eccellenza varesina, la dottoressa Rovera è professoressa ordinaria direttrice del Centro di Senologia dell’Università dell’Insubria e responsabile della Breast Unit di Asst Sette Laghi. La meritata Martinella del Broletto è la più alta onorificenza varesina. Venne Istituita nel 1985 e il primo a riceverla fu proprio Mario Ossola, sindaco fino al 1978.

In ruoli diversi e contrapposti ma caratterizzati da determinazione, competenza e alto rispetto reciproco Ossola e Vaghi furono due lati dell’arco di volta della politica comunale. Non si facevano sconti, ma col tempo impararono ad apprezzarsi, sentendosi anche in via riservata sui temi più delicati. Vaghi – che ricordò quegli anni anche in un articolo di RMFonline – criticava la “bulimia volumetrica” del primo mandato Ossola, quello del 1964-1970, quando nacque (1967) un piano regolatore “monstre”, poi “revisionato” nel secondo mandato 1970-75, con la presenza socialista in Giunta e all’urbanistica il professor Luigi Ambrosoli.

Erano però anche gli anni in cui Varese riportava il record di crescita nazionale di incremento della popolazione sotto la spinta dell’immigrazione dal sud e Vaghi non poteva non tenerne conto e apprezzare il sostegno dato ai servizi sociali, educativi e all’edilizia scolastica.

Ossola, che non amava condizionamenti, nemmeno dal suo partito, lasciò il Palazzo nel 1978 in una fase che non poteva piacergli, quella delle alleanze allargate, con il Psi sempre più espansivo. Ecco, forse un riconoscimento in grado di accomunare i due avversari che si sorreggevano come le due spalle dell’arco di volta sarebbe stato una buona mossa.

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