I seguaci del Gianismo, chiamati Jaina, derivano il nome da Jina (il vincitore), epiteto di Vardhamana, grande maestro vissuto tra il 539 e il 467 a.C.
Conta al momento attuale più di tre milioni di adepti, presenti soprattutto nel Gujarat (india Nordoccidentale), centro ideale della religione, per lo più attestati presso le classi alte e i circoli culturali, onde la grande influenza esercitata sulla società. Vardhamana, grande riformatore religioso, più che fondatore, nacque nobile; sposato a 28 anni, lasciò moglie e figlia dedicandosi a una vita religiosa itinerante e all’ascetismo. Raggiunto a 30 anni il dominio completo del samsara (ciclo completo delle rinascite o morte rinnovata) e della via per la salvezza, venne salutato come Jina e morì a 72 anni.
Verso la fine del primo secolo d.C. la comunità si scisse in due correnti a causa di dissensi sulla disciplina monastica: i conservatori Digambara (sanscrito, vestiti di aria), per i quali l’obbligo da osservare era di vivere completamente nudi, le donne private della via del nirvana e gli Svetambara (sanscrito, vestiti di bianco), che accettavano l’uso dell’abito monacale. Per i giainisti l’universo è eterno e solo attraverso il digiuno totale si può superare la legge del karma, che regola il samsara (trasmigrazione dell’anima), superando le catene della materia.
Il salvato viene a disporre di una conoscenza infinita, forza e gioia e dimora sopra i cieli. Cinque sono i voti per l’etica jainista: rispetto assoluto verso ogni forma di vita, sincerità, rispetto della proprietà altrui, la castità e l’indifferenza verso i beni materiali. Per i laici sono facoltativi il quarto e il quinto requisito. Sommo principio etico l’ahimia, l’assoluta non violenza. Perciò alcuni seguaci spazzano per strada e coprono la bocca con un fazzoletto per non nuocere neppure alle creature più minuscole. Tra la comunità religiosa e il popolo laico il legame è inscindibile. Nei templi si offrono frutti e fiori. I complessi templari sono costruiti sulla cima di quattro monti sacri, circondati da mura fortificate. Ai piedi dei monti le città; nei templi massima è la venerazione verso i Tirthankara (i maestri, coloro che hanno preparato il guado).
Il canone Svetambara, codificato nel quinto secolo d.C., viene denominato Siddhanta (libro didattico) e le sue parti più antiche risalgono al III-II secolo a.C. Lo compongono 45 testi suddivisi in due sezioni che comprendono trattati di dogmatica e parabole e leggende. I Digambara ne negano l’autenticità, considerando come uniche sacre scritture i testi di alcuni loro maestri. Sono ritenute forme viventi da rispettare, oltre uomini, animali e piante, anche le particelle degli elementi di base (terra, aria e acqua). È preclusa ai seguaci tutta una serie di attività lavorative, onde l’opzione per attività di tipo accademico o commerciale. Sotto l’aspetto politico prevalgono tradizionalmente vedute molto liberali.
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