Stiamo assistendo all’ennesimo paradosso sul clima. La Cop-28 che si sta tenendo negli Emirati Arabi Uniti – il settimo produttore al mondo di petrolio e tra i principali esportatori – è cominciata con l’annuncio impudente di 20 Paesi (tra cui USA, Gran Bretagna e Francia) di triplicare la produzione di elettricità da nucleare e si è subito imbattuta nell’arrogante richiesta dell’ospite e presidente della Convenzione – il sultano Ahmed Al-Jaber, lobbista provetto dell’industria petrolifera – di bloccare qualsiasi transizione energetica che riduca il ricorsi ai fossili, pena, a suo giudizio, “di un ritorno all’epoca delle caverne”.
Credo che la crisi dei consessi mondiali sul clima, ormai arrivati alla 28sima edizione, diventi vieppiù evidente e non è affatto un caso se Bergoglio e Gutierrez (presidente dell’ONU) hanno preso la parola con grande determinazione e enfasi sulla necessità di salvare la sopravvivenza delle nuove generazioni, lasciando sottoterra petrolio e gas responsabili delle esorbitanti emissioni di CO2.. Per molti osservatori, il controverso doppio status del Presidente della COP 28 di Dubai, Sultan, getta un’ombra sulle prospettive di progressi sufficientemente ambiziosi in materia di clima alla COP 28, tenuto conto anche che i Paesi Arabi sono tra i pochi Paesi che puntano a incrementare notevolmente la propria produzione nel prossimo decennio. Lo stesso si può dire di gran parte dei paesi del Golfo: d’altronde Kuwait e Qatar non hanno proprio previsto obiettivi climatici, Arabia Saudita e Bahrain hanno posticipato la neutralità climatica al 2060.
La tensione riscoppiata in Medio Oriente nell’ultimo mese, ma a dire il vero perennemente latente, dovrebbe ricordare a tutti i grandi consumatori – e soprattutto importatori – di idrocarburi quanto sia prioritario accelerare sulla transizione energetica ricorrendo esclusivamente alle rinnovabili, decentrate sul territorio, prive di emissioni di anidride carbonica nel loro funzionamento, gestibili in forme cooperative e di comunità e, soprattutto, non collegate alle filiere di produzione di armi e ai conflitti che agitano l’intero pianeta nella “terza guerra mondiale a pezzi”.
L’obiettivo dell’arroganza esibita in riunione plenaria del Sultano Ahmed Al-Jaber, che ha dichiarato che il Medio Oriente passerà dal produrre oggi il 25% di petrolio e gas a livello globale al 40% nel 2050, punta a sfruttare pienamente le proprie riserve fossili – più della metà delle risorse globali – fin quando il greggio avrà mercato e non sarà gradualmente sostituito. Lo stesso sta facendo il Qatar con il gas naturale ed in questa logica rientrano gli enormi investimenti in tecnologia, servizi, turismo e da ultimo anche nel calcio.
A farne le spese sarebbero, secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA), in particolare i Paesi più fragili e meno attrezzati per la transizione energetica.
Voglio qui ricordare che durante la Cop21, tenutasi a Parigi nel 2015, gli Stati partecipanti furono concordi nel cercare di limitare il riscaldamento globale di questo secolo a 1,5°C sopra i livelli preindustriali, per mitigare gli effetti devastanti del cambiamento climatico. Attualmente si registra una temperatura superiore di circa 1,4°C e secondo il Comitato consultivo scientifico del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc), il nostro pianeta rischia di arrivare a un aumento di almeno 2,8°C entro il 2100.
Se passa la posizione dei Paesi del Golfo, saranno soprattutto i Paesi emergenti dell’Asia pacifica a diventare sempre più dipendenti dalle esportazioni mediorientali. E dunque dai rischi geopolitici che caratterizzano quella regione, e che oggi appaiono evidenti ai nostri occhi come già accaduto innumerevoli volte dal 1973 in avanti.
Così si coglie ancor meglio il grido dell’anziano pontefice: «Al clima i soldi delle armi! Tendiamo l’orecchio alle speranze dei giovani e ai sogni dei bambini perché non sia loro negato il futuro!». Un monito molto pregno di significati che vanno oltre l’emergenza. Ad esso il nostro attuale governo e la presidente Meloni non hanno affatto risposto, cullandosi su parole vuote come “neutralità tecnologica” e “bando alla ideologia” e continuando a sottacere la lentezza degli investimenti sulle rinnovabili e l’affidamento sull’importazione di metano, programmato infrangendo i limiti previsti dal Green Deal UE, con la foglia di fico di un improbabile e costoso sequestro della CO2 nelle caverne sotterranee della pianura padana o dell’Adriatico, una volta emessa dalle ciminiere dei turbogas ancora in funzione oltre la metà del secolo.
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