Qualcuno ricorda il nome della 76esima donna italiana vittima quest’anno della violenza maschile, oppure quello della diciassettesima o anche solo quella del caso procedente a Giulia Cecchettin? Difficile, perché appena queste persone escono dall’attenzione dei media non fanno più notizia, eppure sono tutte vittime incolpevoli della violenza maschile. Assurdo che siano i media a decidere se il caso debba spegnersi o assurgere a simbolo quando allora tutto sale a livello demagogico, a kermesse mediatica di ipocrisia collettiva.
Eppure, solo se si avrà il coraggio in inquadrare il fenomeno non solo in un contesto mediatico ma nelle sue vere dimensioni, il sacrificio di Giulia servirà a qualcosa, soprattutto ad evitare il prossimo omicidio.
Per montare un caso c’è spesso bisogno di elementi morbosi, eccitanti. Serve una donna giovane e bella, la “suspence” di una scomparsa, un famigliare che la butta in politica (il caso Cucchi ha fatto scuola) e il resto – purtroppo – vien da sé. Sabato sera i TG nazionali dedicavano alla questione due terzi del tempo e in questi giorni hanno detto la loro parenti, amiche, vicine di casa oltre ad una turba di politici, sociologhi, commentatori, avvocati, giuristi: tutti a pontificare con nessuno che avesse il coraggio di ammettere che statisticamente i femminicidi sono molto meno in Italia che nel resto d’Europa.
Nascono le mode: una settimana fa in Italia nessuno usava il termine “patriarcato” salvo qualche commentatore biblico, ora è sulla bocca di tutti, così come decine di milioni di italiani di sesso maschile sono implicitamente accusati di violenza o di chiudere gli occhi davanti alla realtà.
È totalmente assurdo affrontare questo tragico fenomeno senza inserirlo nel contesto statistico, sociale, legislativo, famigliare di una società ben diversa da come descritta durante le manifestazioni femministe dei giorni scorsi.
La cosa più importante – e speriamo questo sia stato recepito soprattutto dalle donne – non sono tanto le manifestazioni, i cartelli o le scarpe rosse, ma piuttosto di capire che ciascuna di loro deve avere il coraggio di denunciare il fidanzato violento o il marito tiranno, le discriminazioni o la violenza domestica. Devono imparare a farlo senza nascondersi e senza paura, perché l’assoluta totalità dell’altro sesso è solidare con loro, (e deve sottolinearlo nei fatti) non accetta metodi violenti e quindi neppure di essere catalogato come tale.
La stragrande maggioranza degli uomini non è composto né da satiri né da “cattivi” ma – anzi – da milioni di persone che si sacrificano ciascuno per la “loro” donna, esattamente come fa l’altro sesso nei loro confronti. Non è la differenza tra i sessi che genera violenza, ma singoli violenti che vanno fermati e condannati.
Le statistiche europee sottolineano che non è meno violento un mondo “transgender” rispetto alla famiglia naturale, eppure questo è l’implicito messaggio che appare: bastava vedere le fisionomie degli intervistati alle manifestazioni di sabato per capire invece l’implicito messaggio, con la politica che ci si è buttata a capofitto soprattutto per “dimostrare” di essere più sensibili sul tema rispetto all’ avversario.
Non credo che a scuola possano o riescano a spiegarti bene lo schianto che avviene in un cuore abbandonato, soprattutto se è la prima volta, ma visto che in Italia ci sono circa 4.000 suicidi l’anno (di cui moltissimi ragazzi, ragazze e giovanissimi) forse oltre che andare in piazza per i femminicidi servirebbe dedicare più tempo, risorse, psicologici e affetto per aiutare chi sta male e si sente abbandonato, chi non accetta di essere lasciato. A volte l’abbandono diventa violento, ma nella stragrande maggioranza è soprattutto tragico per chi lo prova e che cade in profonda depressione pur senza minimamente sognarsi di colpire in qualche modo chi l’ha lasciato (o lasciata).
Parlare, discutere, capire: serve più dialogo tra le persone (e le generazioni), un dialogo che invece non c’è più, perché questa società l’ha abolito per renderlo “virtuale”. E anche i raptus di violenza sono spesso collegati a troppe relazioni assurde, più o meno condivise sui “social”, o inseguendo i “testimonial” che affrontano queste tematiche soprattutto per i loro personali interessi.
Se la gran parte dei femminicidi è legato a relazioni amorose, qualcuno ha il coraggio di chiedersi come si siano evolute negli ultimi decenni? Perché una volta forse certi discorsi erano tabù ma oggi, al contrario, sono banalizzati, superficiali, assurdi.
Dietro gli omicidi che fanno notizia c’è spesso la morbosità, l’ignoranza, l’impreparazione psicologica a vivere relazioni anche perché pochi giovani hanno avuto il privilegio di avere genitori attenti, disponibili, aperti: ancora una volta va in crisi il modello di famiglia e di società che è stato costruito a tavolino per creare buoni cittadini progressisti, buoni clienti del futile.
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