All’uscita della sala dove si è tenuto un momento di preghiera, saluto due cari amici, marito e moglie, che ho conosciuto quando sono arrivato a Roma. Hanno più di ottant’anni, figli e nipoti e una vita avventurosa alle spalle. Mi distraggo parlando con altre persone e poi il mio occhio torna a loro che risalgono la salita verso il parcheggio.
Si tengono per mano come giovani fidanzati, lui con un atteggiamento protettivo nei confronti di lei, camminando passo dopo passo lentamente come quando sei su un sentiero di montagna. Mi viene in mente l’immagine di un albero nodoso e resistente ai venti con le lunghe radici ben piantate nella terra e sotto la cui fronda chiunque può trovare riposo.
Che cosa grande è il “restare” di questi tempi così duri e difficili! Restare nella propria condizione e vocazione. Come l’unico dei quattro religiosi sopravvissuti (su ottantuno) del convento Mercy a Marsiglia, di cui racconta Albert Camus nel romanzo “La peste” e che decide appunto di “restare”.
Ma “restare” a fare cosa? Di fronte a certi drammi come quelli che scuotono la quotidianità, sembra che la nostra presenza sia insignificante se non addirittura frustata. Un altro scrittore francese ci viene in aiuto nel “Diario di un curato di campagna” quando Georges Bernanos scrive: “lavora, fai delle piccole cose, aspettando giorno per giorno. Applicati bene. Ricorda lo scolaro curvo sulla sua pagina di calligrafia con la lingua fuori. Le piccole cose hanno l’aria di nulla ma danno pace. Sono come i fiori nei campi, vedi, li crediamo senza profumo ma tutti insieme imbalsano l’aria”. “Age quod agis” dicevano i latini.
“Piccole cose” (in realtà non tanto piccole) ci sono state anche nella ventisettesima giornata della Colletta alimentare che nel Lazio come nel resto d’Italia ha visto un incremento di cibi donati di quasi il 5 per cento: in tempo di crisi non e’ poco.
Mai come in questa edizione i protagonisti sono stati i giovani. Davanti ad un supermercato di Ladispoli, dove ho assistito allo spettacolo di una intera scolaresca che per tutto il giorno ha allestito la raccolta, piuttosto che ai grandi ipermercati della Capitale, bambini con catechisti, alunni con insegnanti hanno avvicinato senza timore i clienti chiedendo di partecipare al gesto di carità. Nella chat che collega i 18 responsabili di zona ed i 500 capi equipe del Lazio si sono succedute foto e testimonianze di ragazzi e ragazze che porgono le buste e i volantini e posano con delicatezza bottiglie e barattoli dentro le scatole. Federico, 12 anni, scrive: “La povertà non è una colpa, ma una condizione che può capitare a chiunque”. Una insegnante di istituto secondario di secondo grado scopre con stupore che all’invito appeso in bacheca hanno risposto in 172 studenti. Azzurra 10 anni scrive alla sua catechista: “Ho ricevuto molti no da tanti italiani ma due stranieri invece hanno comprato tanto. Sicuramente loro sanno cosa vuol dire non avere pane e acqua. Se dovesse re-incontrarli li ringrazierei ancora!”
La letizia attrae e contagia. Una lezione di vita e di freschezza per noi veterani che, magari coi capelli bianchi e la presunzione di sapere già’ tutto, ci accostiamo con scontatezza al gesto.
Torno con il pensiero alla coppia “anziana” che cammina lentamente verso casa. Alfa e Omega, inizio e fine e fine della vita: che bello che il “restare” abbia la possibilità del volto di una esperienza incontrata.
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