L’altro giorno, 4 dicembre 2023, timidi fiocchi di neve bagnata sono caduti per diverse ore, senza peraltro lasciare alcuna traccia della loro presenza una volta arrivati al suolo.
Li abbiamo guardati per un po’ dal nostro finestrone di casa, aperto sugli alberi centenari di via Goldoni e sulle sue ville del primo Novecento, parzialmente nascoste dalle stesse fronde e da condomini ben più giovani. E ci siamo scoperti – noi amanti passionali della dama bianca – annoiati e disillusi da questo tentativo infruttuoso e per nulla coreografico, né godibile, come un attore che sul palco si dimentica le parole, come uno studente che arriva all’esame avendo studiato poco e male, come un fuoco d’artificio che esplode dietro a una montagna.
Varese era una città di neve, ora non lo è praticamente più. Nella meteorologia contano le statistiche e quelle del Centro Geofisico Prealpino, eccellente memoria storico-scientifica del nostro territorio, parlano chiaro: il grafico delle precipitazioni nevose annuali di tutti gli inverni dal 1967 al 2020/2021 mostra una netta diminuzione delle nevicate a partire dalla metà degli anni ’80.
La media in centimetri è crollata al piano come al monte: al Campo dei Fiori si è passati dai 403 centimetri all’anno nel periodo 1967-1987 a 201 centimetri annuali dei successivi vent’anni, mentre a Varese città – negli stessi archi temporali – il crollo è avvenuto da 69 cm agli attuali 33.
Ma se in cima alla nostra montagna, proprio perché tale con i suoi 1200 metri di quota, la neve continua a cadere, seppur in quantità minore, in centro e sulle colline non sono ormai nemmeno rari le stagioni di scene completamente mute dal cielo o di spruzzate inconsistenti subito lavate via dalla pioggia o asciugate dal sole. Proprio come l’ultima appena registrata.
E pensare che in 52 anni di osservazioni la neve a dicembre è caduta a Varese ben 33 volte, 38 volte a gennaio, 34 volte a febbraio e 23 volte a marzo. Più marginali le 15 volte di novembre e ancor di più le 3 volte di aprile. L’ultima grande nevicata, degna di questo nome, è accaduta esattamente tre anni fa: 27 cm in centro il 4 dicembre 2020, 15 cm il giorno dopo. Freschi nella mente i 45 centimetri del febbraio 2013 o i 33 del dicembre 2009, inarrivabili i 122 cm del 1985 seguiti dai 65 del 1986 e dai 63 del 1987.
Che anni…
La nostra Varese senza neve si sta portando via gli occhi dei bambini che eravamo. E i sogni che non avremmo mai voluto perdere, nemmeno da adulti.
Si porta via quella foto della 127 rossa di mamma, parcheggiata sul vialetto di casa in mezzo a cumuli più alti di lei, a fine gennaio 1985. Si porta via le “sciate” – che in realtà erano “slittate” – al Sette Termini, al Brinzio o al “pratone” del Campo dei Fiori (ma anche giù dai bricchi dei Ronchi di Casbeno o alla Madonnina di Bobbiate), semplici eppure così attesi regali di un papà sempre attento alla felicità del suo cucciolo e a non perdere nessuna occasione per vivere la bellezza sfuggente ma piena del tempo condiviso.
Si porta via la sorpresa dell’era pre-digitale, con la meteorologia che si lasciava afferrare e parzialmente comprendere solo durante quei due minuti dopo il TG1, con le parole cordiali del colonnello con i baffi: niente mainstream di dati e previsioni, quell’abbondanza che oggi prima ti gonfia, poi ti illude, infine mortifica le tue speranze nevose. Una volta non sapevi nemmeno cosa fosse la colonna termica, non badavi alla necessità di un “cuscinetto freddo” e non ti preoccupavi dei possibili agguati del favonio e dello scirocco: andavi semplicemente a letto scrutando per un’ultima volta il cielo, che a poco a poco si tingeva di viola, poi ti stringevi nelle spalle accarezzate dal freddo pungente e infine ti addormentavi, sognando una magia che puntualmente si avverava, al risveglio.
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