È passato oltre un secolo e mezzo e nessun testo di storia è in grado di rivelare quanti libri, manifesti, opuscoli e fogli “incendiari” che spronavano i lombardi a ribellarsi all’invasore austriaco abbia stampato la Tipografia Elvetica nei suoi ventitré anni di vita, dal 1830 al 1853: “Anche perché spesso la stamperia clandestina di Capolago, nel Mendrisiotto, camuffava la propria attività editoriale con nomi di comodo – spiega Giuseppe Armocida, presidente della Società Storica Varesina – Forse qualche notizia in più si potrebbe ricavare dagli archivi della polizia austriaca dell’epoca che quel materiale, se riusciva a metterci sopra le mani, lo sequestrava”.
Non esiste dunque un catalogo completo ma la Tipografia Elvetica occupa un posto di rilievo nella storia del Risorgimento italiano grazie ai tanti intellettuali e patrioti che utilizzarono i suoi torchi, da Mazzini a Cattaneo, da Gioberti a Tommaseo, da D’Azeglio a Giuseppe Ferrari. “Ferrari fu il primo deputato varesino del Regno ed è quasi dimenticato – ricorda Armocida – apparteneva alla sinistra radicale, voleva l’Italia federata e votò contro l’Unità d’Italia. A differenza di Carlo Cattaneo che non si espose mai e che tutti ricordano, andò in Parlamento a difendere le proprie idee. Diceva che gli italiani federati tra loro potevano andare d’accordo, ma una regola comune non avrebbe funzionato”.
Settantasette anni, psichiatra e docente universitario in pensione, il professor Armocida ha trascorso una vita fra la Statale di Milano e gli atenei di Bari-Foggia, Ancona, Pavia e Varese. Allievo di Leopoldo Giampaolo, è un appassionato divulgatore della storia risorgimentale e spiega che la Tipografia Elvetica fu la culla del pensiero federalista poi “sconfitto” dalla storia. Ne racconta gli esordi con i primi volumi dedicati a Melchiorre Gioia e a Vincenzo Monti e il cambio di passo, in funzione antiaustriaca, che registrò con la pubblicazione di “Le speranze d’Italia” del patriota e politico Cesare Balbo.
Nella conferenza organizzata nella sala dei matrimoni a Palazzo Estense e introdotta da Leonardo Tomassoni, presidente dell’associazione mazziniana Bertolè Viale di Varese, Armocida rievoca l’attività delle tipografie ticinesi “concorrenti” dell’epoca, la reazionaria Veladini e la patriottica Ruggia di Lugano, le figure dell’attivista comasco Luigi Dottesio che diffondeva gli opuscoli rivoluzionari e morì impiccato dagli austriaci nel 1852 e dell’editore Gino Daelli che pubblicò il Nuovo Politecnico con Cattaneo e fu accusato dal memorialista Rinaldo Caddeo di essere una spia benché avesse stampato la prima raccolta degli Scritti di Mazzini.
Ricorda infine le vicende del proprietario Alessandro Repetti, la cui sterminata corrispondenza tenuta negli anni della tipografia ticinese è confluita nel Fondo Bersellini-Repetti che è oggi affidato alle cure del professor Fabio Minazzi dell’Università dell’Insubria. Fu Repetti a spingere l’Elvetica verso la svolta rivoluzionaria nel 1842 e furono i suoi familiari a conservare le lettere e i carteggi ora custoditi a Varese. Il Fondo raccoglie centinaia di scritti inediti degli uomini che lottarono per un’Italia federalista e repubblicana. In una lettera a Garibaldi (delle quattro che figurano nel Fondo), Cattaneo lo prega di difendere l’autonomia delle truppe dall’esercito sabaudo.
In un’altra a Cavour, mai spedita, Cattaneo consiglia allo statista piemontese di curare lo sviluppo stradale e ferroviario del Gottardo. Una terza contiene i ringraziamenti del presidente americano Abramo Lincoln a Repetti per l’invio di un libro di Mazzini. Altre ancora riguardano Carlo Pisacane che tentò di far sollevare il Regno delle Due Sicilie e l’uomo d’affari milanese Enrico Cernuschi, patriota e fondatore della Banque de Paris. Una lapide sul luogo dell’antica sede a Capolago ricorda “l’umile eroica stamperia che in sacro contrabbando” diffondeva oltre-confine l’ideale della libertà d’Italia. E dal 2015 una Tipografia Helvetica (con la acca) rende onore alla gloriosa progenitrice con nuove collane di libri.
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