Non riesco a guardare la foto di Giulia Cecchettin senza provare una sensazione di impotenza e di ingiustizia di fronte a quel suo sorriso ancora infantile che non ha più futuro. Due domande mi si ripropongono ogni volta. Perché? E come evitare che succeda ancora?
Sulle cause le ipotesi si sprecano, spesso inquinate da pregiudizi ideologici – è patriarcato/non è patriarcato – mentre le proposte – manifestazioni urlate all’insegna del “facciamo rumore” – mi sembrano riti consolatori ma sterili; mi ricordano i canti intonati dalle finestre durante la pandemia, per convincersi che tutto sarebbe andato bene e che ne saremmo usciti migliori. Infatti.
E l’unica proposta di prevenzione concreta mi pare davvero debole: inserire nel curriculum scolastico l’educazione all’affettività. Per dirla con le parole di Paolo Crepet – noto per esprimersi senza peli sulla lingua, a volte anche in modo provocatorio -, è “utile come mettere una zanzariera su un sommergibile”.
Introdurre questa nuova materia nei programmi scolastici serve solo a tacitare le coscienze di chi non sa in che altro modo intervenire. Come è successo in molte altre occasioni, si delega la scuola a risolvere una situazione che andrebbe affrontata anzitutto in famiglia.
Si dovrebbero educare prima i genitori, perché è con l’esempio quotidiano che si insegna, a casa come a scuola, il rispetto dell’altro – uomo o donna che sia – e l’ascolto. Non mi riferisco solo all’educazione all’affettività, ma anche all’educazione civica, che non possono essere “materie”: devono essere un modo di porsi nei confronti degli altri, un habitus mentale e di comportamento che i ragazzi possano “assorbire” nel rapporto quotidiano con gli adulti.
Credo ci vorranno alcune generazioni per avvicinarsi a questo traguardo, perché sono sempre più numerosi i genitori che non sanno essere un riferimento positivo per i propri figli: non sanno dire no, concedono tutto – per buonismo o per comodità – senza capire che anche un divieto motivato è un’espressione dell’amore, dell’attenzione di cui i ragazzi hanno bisogno. Rendergli la vita facile, giustificarli sempre serve solo a non farli crescere. Genitori che aggrediscono gli insegnanti per un 4, che dalla scuola vogliono solo il diploma, che insultano o picchiano allenatori e arbitri, che definiscono ragazzate le intemperanze – persino i reati – dei figli comunicano un unico, pericoloso messaggio: si deve sempre ottenere ciò che si vuole, non si può perdere; se hai un insuccesso sei un fallito.
E alla fine, se la ragazza ti lascia non puoi tollerarlo.
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