In una recente intervista il premio Nobel Giorgio Parisi ha dichiarato che per “fare un fisico” ci vogliono i romanzi. Senza voler diventare fisici, i romanzi, quelli degni di questo nome, ci aiutano certamente a percepire la complessità della vita. E questo non fa mai male. Anzi fa decisamente bene. Alcuni studiosi – la ricerca si può leggere su Fanpage – sostengono che quando leggiamo un romanzo offriamo benefici, anche anti-age- al nostro cervello.
Si obietterà che è esagerato e che molto dipende dai romanzi. Obiezione legittima se pensiamo a certe operazioni meramente commerciali o a mode pseudo culturali. Essere critici, però, non impedisce di pensare anche in modo positivo, scoprendo chicche narrative. Un bell’esempio è l’ultimo romanzo di Alessandro Ceccoli che sarà ufficialmente presentato domenica 26 novembre alla Galleria Ghiggini di Varese. I motivi per leggerlo sono molti.
Si può partire dall’autore, varesino d’adozione ma autenticamente cosmopolita sia per la sua significativa carriera professionale, che lo ho portato a vivere a Parigi, Atene, Monaco e Bruxelles, sia per la cultura poliedrica che feconda tutti i suoi romanzi. Sono ben sette.
E ciò può sorprenderci pensando che Ceccoli è stato Presidente e Amministratore delegato di Aziende Industriali, nonché Vicepresidente della Federtessile Francese. Ama definirsi filosofo per passione, poeta per sentimento. Rien que Nuances, null’altro che sfumature, edito da MDG, è prova di abilità di scrittura. Intrigante la presentazione sul retro di copertina. “Al tempo della Pandemia e dell’invasione dell’Ucraina la scomparsa di uno scrittore pone al suo editore newyorkese dubbi e preoccupazioni. Una detective, che solitamente lavora per il Vaticano, seguirà le sue tracce scoprendo un intrigo internazionale, mentre sullo sfondo si staglia un amore impossibile”.
La narrazione è agile, la trama densa. Anche se giustamente non deve essere svelata alcune riflessioni presenti nel romanzo, che tiene costantemente alta la curiosità del lettore, sono indicative per cogliere la complessità della storia che spazia da Napoli a Lugano, da Parigi a Dresda, dai ricordi degli anni Sessanta, in cui anche i “sedicenni andavano alla ricerca di qualcosa di grande che riempisse la vita”, al 25 febbraio 2022.
Vale la pena riportare un passaggio drammaticamente attuale: “Se le parole, le affermazioni, avessero un senso, un significato invalicabile, un tono definitivo, perentorio non ci sarebbero più guerre, ma così non poteva essere, così non sarebbe mai stato. Le parole hanno sempre un tempo, una scadenza, e il popolo non ha mai avuto buona memoria. Basta una narrazione appena decente per convincere le masse della giustezza di una idea…”.
Davvero tanti sono gli input alla narrazione ma anche alla riflessione. Durante una fase dell’indagine si afferma che si tratta di “una vecchia storia. Risale a quando lo IOR gestiva in maniera disinvolta le finanze vaticane e Sindona era di casa”.
Centottanta pagine coinvolgenti nel ritmo narrativo, con colpi di scena ma con un qualcosa di più che lo rende diverso rispetto a una storia indiziaria. È veramente adeguato quanto si legge in copertina: “Tutto sfuma e delle certezze, le nostre amate e invocate certezze, non resta altro che un labile inafferrabile ricordo”.
Una stupenda poesia di Szymborska è “Incanto dell’incertezza” e questo ce lo ricorda, già dal titolo, anche il romanzo di Alessandro Ceccoli.
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