Basta un computer o un’app sul cellulare per avere splendide immagini della terra vista dalla luna, emozionanti vedute della profondità delle galassie e degli intriganti misteri dei buchi neri, e per provare a «contare» le stelle. Vediamo davvero lontano.
Vedere è un verbo complesso, con molte sfumature di significato: parte dal guardare/immaginare qualcosa, diventa assistere/osservare per notare/constatare, passa al giudicare/verificare, quindi controllare/provare, per arrivare infine a valutare/decidere, e molto altro ancora. Tutte queste cose noi le esprimiamo con «vedere».
E poi ci sono il «vedo nero», il «vedo rosso», le «rosee» e le «larghe vedute», c’è il «vedersi» come incontro, il «ci vediamo» come promessa, il «te la faccio vedere io» come minaccia, il «farsi vedere» come esibizione e rivalsa. In più, la tecnologia del «vedere», oggi, senza rendercene conto, può procurarci un senso di onnipresenza e di onnipotenza. Premendo un dito sullo schermo possiamo ritrovarci (illudersi di essere) in cima all’Everest, nelle profondità dell’oceano o ai confini dell’universo. Posso vedere di tutto e di tutti, e pensare di essere informato, di conoscere, di sapere.
Vedo tanto, vedo tutto, vedo lontano. Ma rischio di non vedere l’anziano «del 6° piano» che vive abbandonato, i miei figli che vedono tutto in tv, ma nella solitudine. Vedo il prezzo dei pomodori, delle pesche, dei peperoni, del cellulare, della benzina. Ma non vedo chi ha raccolto quei pomodori per una paga da fame, schiavizzato dai caporali. Invisibili sono i bambini chi escono dai buchi della terra con il coltan così essenziale per la tecnologia. Irreali le cannonate di chi lotta per il controllo del nostro gas e petrolio.
Vedo con orrore e preoccupazione l’Amazzonia in fiamme, ma faccio fatica a vedere il legame tra quegli incendi e l’espansione dei pascoli e la cacciata dei popoli indigeni dalle loro terre per l’insaziabile domanda di carne dei nostri mercati.
Vedo e non vedo; spesso non voglio vedere. Perché se vedessi bene, dovrei cambiare il mio modo di agire, di spendere, di informarmi. Perché Qualcuno ci ha insegnato che c’è anche un vedere che diventa conoscere, e un conoscere che è lo stesso che amare.
Se vedessi bene, con il cuore, mettendo al centro la persona, correrei il rischio di ritrovarmi meno onnipotente, ma più presente e, magari, più umano.
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