La storia dirà se stiamo vivendo una fase di transizione verso un conflitto globale nel segno dello “scontro di civiltà”. Intanto però gli analisti dei mercati finanziari appaiono super-eccitati ad ogni segnale di rincrudimento della logica bellica. Riprendo qui i dati impressionanti pubblicati sul sito di uno dei grandi gestori di fondi e investimenti: “National Defense Authoriziation”.
Vi si può leggere come per il 2024 la difesa statunitense preveda 886,3 miliardi di spesa, con un incremento del 3,3% rispetto al 2023.
Si elencano poi i maggiori destinatari del traffico delle armi che attraversano mari e oceani. Tre dei primi 10 importatori di armi nel periodo 2018-2022 sono in Medio Oriente e precisamente Arabia Saudita, Qatar, Egitto. L’Arabia Saudita è stata il secondo più grande importatore di armi nel mondo: nel 2018-2022 ha ricevuto il 9,6% di tutte le importazioni di armi in quel periodo.
Le importazioni di armi del Qatar sono aumentate del 311% tra il 2013-17 e il 2018-2022, rendendolo il terzo importatore di armi al mondo.
Quali sono i paesi esportatori verso questi paesi del Medio Oriente dove divampa un conflitto spaventoso, con Israele che si è da tempo dotata della maggior densità per abitante di armamenti tra i più sofisticati? In testa gli USA con il 54%, seguita dalla Francia 12%, Russia 8,6% e Italia 6,4%.
Le esportazioni elencate sul sito fanno riferimento complessivamente a 260 arei da combattimento avanzati, 516 nuovi carri armati (il mercato usato dei thanks è in grande fioritura), 13 fregate lanciamissili. E, si noti, non stiamo prendendo in considerazione il bilancio spaventoso della guerra in Ucraina.
Gli stati arabi della sola regione del Golfo hanno effettuato ordini per altri 180 arei da combattimento, mentre 24 sono stati ordinati dalla Russia e dall’Iran (che non ha ricevuto armi importanti tra il 2018-22).
Un dato quest’ultimo molto interessante, quando si sostiene che l’Iran appoggia Hamas e ci si dimentica di alcuni grandi acquirenti arabi che pure appoggiano il gruppo che ha scatenato l’attacco ad Israele. I rilievi sul traffico di armi spiegano molte cose, che le notizie che si rincorrono quotidianamente sottraggono ad una analisi più compiuta dei processi in atto.
È giusto che il terrorismo delle operazioni di Hamas vada sconfitto e messo in condizioni di non nuocere più, ma proprio per questo è un errore non lanciare uno sguardo più profondo, rivolto a tutti gli attori della tragedia in corso. Perciò occorre invocare una tregua immediata e la cessazione del fuoco, dal momento che la vendetta di Netanyahu non distingue più tra civili e terroristi, provocando un autentico genocidio dei Palestinesi di Gaza.
Al riguardo, occorre gridare che le armi, anche le più sofisticate, non bastano per vincere il terrorismo: occorre riuscire ad isolarlo dalla maggioranza della popolazione palestinese a cui va offerta una prospettiva di uscita dalla guerra e dalle sue tragiche conseguenze. La guerra deve lasciare il passo alla politica e alla capacità di costruire soluzioni positive per una pace duratura. Stiamo imparando, anche nelle nostre case e al riparo per ora dal conflitto, che la pace, nella guerra mondiale a pezzi, ricade anche su di noi. Infatti, in una fase in cui l’emergenza climatica, l’aumento della povertà e il pericolo nucleare incombono oltre ogni confine, la pace non può più essere concepita come la vittoria o la supremazia militare di una parte sull’altra.
Le vendette e le punizioni collettive non portano a nessuna soluzione politica. Soltanto il riconoscimento di eguale dignità ed eguali diritti per tutti può aprire la strada per la riconciliazione e per superare la fase più terrificante che il pianeta abbia vissuto dopo la fine della Seconda Guerra mondiale.
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