L’ennesimo femminicidio sigla brutalmente, ancora una volta, una storia di coppia finita in tragedia.
Due giovani sono passati da un amore trascorso, nato sui banchi di scuola, all’odio feroce di lui e all’ossessione di perderla.
A giocare la carta peggiore, in una mente certo provata dalla malattia, è stata la non accettazione del presunto fallimento personale, dell’inadeguatezza, del senso di inferiorità verso di lei. La pur assennata Giulia, che ha accettato la richiesta di un ultimo appuntamento, pronta ormai per discutere la tesi di laurea, non è solo la vittima generosa di quell’incontro sbagliato.
Sarà necessario che il suo assassino venga curato e seguito come non è invece avvenuto prima. Perché nessuno abbia provato seriamente a farlo si potrà sapere solo più avanti. Ma certo è che il pensiero nero di Filippo è cresciuto anche in un clima che ha favorito questo come i molti altri delitti. “Cento volte Giulia” ha titolato Repubblica in un fotomontaggio con l’immagine del viso di lei e, dentro quei lineamenti di bambina, i nomi delle donne vittime nel 2023.
Quel clima che ha alimentato questo, come altri femminicidi -occorre ammetterlo- è un clima di cultura debole, dove la donna è cittadina di serie B. Unanime il commento del mondo femminile: anche gli uomini devono imparare d’ora in avanti a metterci la faccia, a dire che così non va, a dimenticare quel certo senso di superiorità e comando acquisito per generazioni. Si chiede il giusto rispetto, niente di più e niente di meno. Perché ci spetta.
Ma la società nel suo insieme deve essere pronta a prendersi più cura delle vulnerabilità di ciascuno. La scuola e la famiglia sono luoghi fondamentali per parlare di uguaglianze e di fragilità. Anche la fragilità di chi non ha gli strumenti adeguati per saper rispettare o per sentirsi a sua volta rispettato. Guardarsi attorno significa capire che il lavoro da fare in questo senso è ancora tanto. Lo smarrimento che prende ad esempio le donne del mondo di fronte al destino tragico riservato loro in certi Paesi -dalla lapidazione, alle percosse, alla detenzione, alla morte- se osano contraddire le inaccettabili schiavitù e vessazioni quotidiane che nessuna organizzazione internazionale riesce a far vacillare, quello smarrimento è lo stesso che ci assale se riflettiamo quanta strada, anche noi che ci riteniamo democratici, dobbiamo ancora percorrere.
Guardiamo nel nostro Paese agli stipendi delle donne, quasi sempre inferiori a parità di impegno. E allo sforzo richiesto, per chi desidera mantenere il proprio lavoro e un compenso decente. O pensiamo al peso del doppio lavoro quando si debbono fare i salti mortali per seguire i compiti dei figli e per fissare un colloquio a scuola in ore non serali. Ma che dire dell’aiuto a chi è in attesa di un bambino o, peggio ancora, sta per metterlo al mondo? Chiediamoci perché da noi non nascono più figli. Vogliamo dire, oltre che dell’impegno economico a fronte di stipendi tra i più bassi, anche in che condizioni avvengono i sempre più stremanti, infiniti travagli ospedalieri delle partorienti? Che poi non chiudono occhio dacché hanno il bambino tra le braccia e debbono stare in piedi subito dopo il parto, anche quando non hanno più forze per farlo. Chi ha partorito o ha avuto qualunque esperienza familiare in tal senso lo sa bene.
Filippo, l’assassino di Giulia, è cresciuto anche lui in questo incerto Paese. Non indossiamo il velo per fortuna, noi donne, ma certo non abbiamo sempre il necessario rispetto, la giusta attenzione e considerazione da parte degli altri. E viviamo sempre più nella paura di quel che ci aspetta ogni giorno dietro l’angolo: da quando veniamo al mondo, a quando lasciamo lì, magari su di una barella del Pronto Soccorso, qualcuno che ci è caro. Dove forse non arriva una goccia d’acqua, per ore – è capitato – a lenire gli ultimi giorni di vita di un familiare.
Chissà se le nostre donne di riferimento, la Schlein e la Meloni, avranno mai voglia di trovarsi a fianco a fianco- lasciando da parte i consigli delle armocromiste e le giacche in doppio petto- a raccontarsi un po’ le loro, e nostre, storie di donne. Facendo finalmente progetti concreti, partendo proprio dai disagi della quotidianità e della scuola, dai problemi che riguardano le famiglie e il loro fondamentale lavoro.
Dalle signore che lavorano ai vertici, a quelle che sgobbano ogni giorno dalla mattina alla sera.
E che non sono mai abbastanza brave nel giudizio di chi le osserva e le comanda. O le zittisce per sempre.
You must be logged in to post a comment Login