Francesco invoca la pace in Ucraina e Palestina e sembra inverosimile che un tempo i papi provocassero le guerre: come Alessandro VI che finanziò le ambizioni militari del figlio Cesare Borgia e come Giulio II che costrinse il sanguinario rampollo a restituire città e castelli sottratti alla Chiesa. Le cose sono cambiate quando lo Stato pontificio, con l’occupazione italiana di Roma nel 1870, rinunciò al ruolo di potenza mondiale. Da allora e per tutto il ‘900 i successori di Pietro sono diventati fieri pacifisti, chi come Benedetto XV urlando la propria condanna della grande guerra, chi come Pio XII con gli assordanti e discussi silenzi sul nazifascismo. Entrambi, peraltro, con scarsi risultati.
Pavidi o coraggiosi, prudenti o temerari, diplomatici o spericolati, i papi hanno sempre mostrato il proprio carattere in occasione dei conflitti che insanguinavano il mondo. Accadde ai tempi dell’invasione degli Unni, nel 452 d.C., quando Leone Magno, secondo la leggenda riportata da Paolo Diacono, affrontò Attila che si preparava a saccheggiare la penisola dopo aver raso al suolo Aquileia, Padova e Milano. L’incontro avvenne vicino a Mantova e l’avveduto Leone, aiutato da una visione celeste, fu tanto convincente da ottenere dal re unno il ritiro pacifico delle truppe.
Crociate a carattere religioso, accordi, alleanze e spedizioni militari, scontri di truppe terrestri e di flotte sui mari, la storia è piena di guerre sante. Ma ci sono anche pontefici che hanno pagato i conflitti altrui con il proprio sacrificio. I coevi Pio VI e Pio VII furono entrambi vittime di Napoleone. Il primo fu deportato in Francia e vi morì in esilio. L’altro rischiò di fare la stessa fine, relegato a Fontainebleau per avere opposto il coraggioso Non debemus, non possumus, non volumus al decreto di annessione all’impero dei territori della Chiesa e poi liberato da Bonaparte alla vigilia dell’abdicazione.
Perso il potere temporale all’epoca di Pio IX, la diplomazia vaticana un tempo impegnata a tutelare i propri interessi territoriali, si è progressivamente votata al ruolo di mediatore disinteressato e di pacificatore tra le potenze mondiali. Gli storici ricordano l’enciclica contro il razzismo Mit Brennender Sorge (Con bruciante preoccupazione) fatta leggere nel 1937 nelle chiese tedesche da Pio XI, il papa dei Patti Lateranensi, che fece infuriare Hitler. Angelo Roncalli, Giovanni XXIII, intervenne durante la crisi dei missili sovietici a Cuba nel 1962 contribuendo a scongiurare l’apocalisse della terza guerra mondiale che si profilava all’orizzonte. Karol Wojtyla nel 1994, in piena guerra dei Balcani, voleva andare di persona a Sarajevo, epicentro dei combattimenti, e fu fermato solo dalla opposizione dei serbi.
E oggi che accade? Francesco, inquieto leader morale che non rinuncia ad esercitare i doveri del suo ruolo, continua a predicare la pace come bene supremo e non negoziabile. Come altri vicari che lo hanno preceduto muove le pedine della diplomazia vaticana e invia il fido cardinale Matteo Zuppi a conferire con i potenti della terra ovunque si prendano decisioni, reclamando un ruolo nei negoziati. “La pace è possibile – non smette di predicare – la guerra è sempre una sconfitta e ci guadagnano solo i fabbricanti di armi”. È una voce autorevole, sincera e imparziale. Ma basterà a far tacere i rancori e le vendette?
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