Nessuno dodici mesi fa avrebbe immaginato un “Piano d’azione” tra l’Italia svoltata a destra e la Germania rimasta ormeggiata a sinistra. Sinistra per dire socialdemocrazia con ascendenza centrista. Destra per dire radicalismo prevalente sulla moderazione.
Invece, toh, succede il contrario. Ci sono interessi sullo scacchiere internazionale che spingono Meloni alla sponda conservatrice, e persuadono Scholz, cancelliere tedesco, a dimenticare la propaganda estrema della collega tricolore. E ad allearvisi. Perciò nasce a Berlino quest’intesa -meglio lasciar perdere la parola asse, di nefasta memoria- che vien dettata dalla realpolitik. Italia e Germania condividono difficoltà di gestione del bilancio statale (perfino più la Germania dell’Italia, Bruxelles dixit); sono costrette all’accordo per arginare l’ondata migratoria; gli giova rafforzarsi reciprocamente -specie su difesa, infrastrutture, energia- così da impedire una prevalenza francese nell’Ue.
Vale poi l’opportunismo interno a vantaggio d’entrambi i premier. La visione sulle elezioni europee del giugno ’24 suggerisce di tenere distanti avversari pericolosi. Scholz intende sottrarre consensi ai merkeliani, pilastro del Ppe di cui il cancelliere è al tempo stesso partner-rivale. Meloni vuole sottrarli a Salvini, che ogni giorno l’insidia con derive populistiche. Perciò va bene, di quando in quando, una sortita tribunizia in scia del “dio, patria, famiglia” che servì a vincere nel settembre ’22 su Pd e Cinquestelle. Non va bene trasferire una tal retorica oltre i confini. Di qui il doppiogiochismo della presidente del Consiglio, che un po’ interpreta la sé stessa dell’epoca in cui fu all’opposizione e un po’ interpreta il Draghi al quale è succeduta. Contraddizione? Sì, com’è nelle elastiche corde d’ogni leader. Ma anche spirito pratico, com’è nel dovere di chi voglia durare, e soprattutto far gl’interessi del proprio Paese.
Che fosse prossimo l’accordo con Scholz era apparso chiaro qualche giorno prima, allorché Giorgetti aveva ottenuto che Draghi -amichevole consigliere della Von der Leyen- mediasse a favore d’una Commissione Ue flessibile verso i conti italiani. Purché l’Italia rispondesse con responsabile coerenza nel posizionamento politico europeo. Detto e fatto, da Draghi e da Meloni. Il negotium di Berlino è la prosecuzione con altra voce dell’accento narrativo risuonato a Palazzo Chigi al tempo in cui lo abitava il predecessore dell’odierna inquilina.
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