Da oltre sessant’anni ogni cittadino italiano sa che il 2 giugno ricorre la festa della Repubblica, della nostra storia collettiva, della nostra identità nazionale.
Quest’anno alla raffinata, sentita e sobria festa in Provincia e Prefettura erano assenti tutti gli esponenti politici della Lega, sostituiti semmai dai loro vice (nel caso del presidente Galli e del sindaco Fontana) per le funzioni di rappresentanza irrinunciabili. La motivazione addotta: la ricorrenza cadeva in coincidenza con il congresso del partito.
A parte che, semmai, è il partito della Lega Nord che ha organizzato un congresso proprio in concomitanza consapevole con la festa della nazione e della patria. Ma transeat qualsiasi interpretazione della scelta di calendario. Resta invece forte la convinzione che spesso chi ricopre cariche istituzionali ai vari livelli fatica a riconoscere che l’esistenza della carica stessa è subalterna all’esistenza dello stato unitario. Se non ci fosse la Repubblica, non ci sarebbero i prefetti, i presidenti di provincia, i sindaci, i vari assessori e i consiglieri. È un po’ difficile capire perché chi non si senta orgoglioso cittadino di questa Repubblica e di questo Stato scelga però di candidarsi per rappresentarlo ai vari livelli, aspiri spesso a prestigiosi incarichi istituzionali, ambisca a governare proprio questo Stato e le sue amministrazioni regionali, provinciali, comunali.
Allo stesso tempo sfugge in base a quale logica molti denigratori dell’unità nazionale accettino di essere stipendiati dai cittadini di quella stessa nazione che poi vogliono abolire, smembrare e dalla quale rendersi indipendenti. Non sarebbe forse più logico che aspettassero a rivestire cariche istituzionali solo in un eventuale domani, qualora si dovesse mai avverare il loro sogno di una presunta secessione? Parrebbe molto più coerente. Invece, ad esempio nel 2008, dopo solo dieci mesi da che era stato rieletto presidente della nostra provincia, un esponente del Carroccio ha preferito candidarsi al parlamento e consentire che il nostro territorio ritornasse ad elezioni, riducendo di significato il ruolo delle istituzioni locali, influendo notevolmente sui costi da sopportare e adducendo la motivazione che quell’incarico parlamentare cui aspirava era ritenuto particolarmente importante per il futuro dei nostri cittadini. Stare a Roma: decisione dispendiosa per le casse locali e poco rispettosa delle scelte elettorali che i cittadini di una intera provincia avevano espresso nemmeno un anno prima. Ma ci sono anche rappresentanti del Carroccio che, contemporaneamente, ricoprono l’incarico di assessore o consigliere provinciale e sindaco di un comune: parliamo anche in questo caso di disponibilità a cumulare ruoli amministrativi che sono tali solo perchè esiste l’ordinamento repubblicano. Non essendo cariche obbligatorie ma di assoluta discrezione personale, viene difficile capire quale sia il nesso tra la volontà di non riconoscere che siamo uno Stato unitario e l’aspirazione a guidarne i vertici amministrativi di rappresentanza locale, percependo nella quasi totalità dei casi anche doppia retribuzione. Ora la festa della Repubblica è la festa di ogni cittadino italiano, ma è anche la festa di ogni amministratore o governante, proprio perché chiunque assuma la responsabilità di un ruolo istituzionale decide liberamente di condividere l’ordinamento repubblicano del nostro paese, giura di rispettarne le leggi e di operare per il bene comune. Che non deve coincidere mai con il bene del singolo o di una sola parte: significa che davanti alla nostra nazione non c’è congresso di partito né secessione che tenga.
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