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Politica

GIOCO DI PRESTIGIO

ROBERTO CECCHI - 17/11/2023

3carteAl di là di facili ironie, il gioco delle tre carte è un gioco da professionisti. A modo loro, ma professionisti. E potrebbe sembrare un gioco da ragazzi. Invece, quei signori dagli indumenti sempre stropicciati, che allestiscono banchetti di cartone nei corridoi della stazione centrale, attorniati da scommettitori strampalati, con quel giochetto sfangano il mese. Ci campano. Senza voler mancare di rispetto a chi ha elaborato il disegno di legge per la riforma in senso presidenziale della nostra Repubblica, bisogna dire che è un gioco di prestigio anche quello, perché non si riesce mai a capire qual sia la carta vincente.

L’obbiettivo dichiarato del progetto della coalizione di centro-destra è di avere governi più stabili, rafforzando l’esecutivo. Perché – si osserva – dal 1946 ad oggi abbiamo avuto la bellezza di 66 crisi di governo, con una vita media degli esecutivi di circa un anno e mezzo. Che è indubbiamente vero. Anche se va detto che, fino agli anni ’70, i governi cambiavano sì, ma il “manico” rimaneva sempre lo stesso. Era tutto in movimento, ma a guidare la baracca c’era sempre la Dc che, per ragioni di equilibrio interno, ogni tanto, sostituiva il capo del governo, per accontentare ora una corrente ora un’altra. Dunque, si potrebbe dire che abbiamo vissuto una continuità subliminale. Ma è vero che dopo l’assassinio di Aldo Moro, l’instabilità del quadro politico-istituzionale si è fatta reale.

Per porre riparo a tutto questo, si vorrebbe un presidente del consiglio eletto dal popolo e in un secondo momento, stando al progetto di legge, dovrebbe ottenere la fiducia degli eletti in Parlamento. Dunque, qual è la carta vincente? Chi legittima l’elezione del presidente del consiglio? Non è il voto popolare a farlo, ma il voto parlamentare. E allora, a che serve il voto popolare? “Non sarebbe il caso di discuterne?”, si chiede Giuliano Urbani. E non se lo chiede un feroce rappresentante dell’opposizione. Se lo chiede il co-fondatore di FI, ministro del governo Berlusconi e soprattutto un addetto ai lavori di prestigio della scienza politica. Che arriva a dire che la riforma è “un ballon d’essai” (la Repubblica 5.11.23).

Poi, c’è la questione del Presidente della Repubblica. Si afferma che i suoi poteri, con la riforma, rimarrebbero identici a quelli esercitati finora. Ma com’è possibile che il capo dello stato conservi le sue prerogative, se il capo del governo è eletto direttamente dal popolo (o giù di lì)? “Si vuole lasciare ‘intatte’ le prerogative del Presidente della Repubblica, come si dice in modo palesemente insincero. Perché è evidente che se si rafforza, fino al massimo dell’elezione diretta, la figura del Primo ministro necessariamente si indebolisce quella del Presidente della Repubblica: certe cose che il secondo prima faceva, dopo non potrebbe farle più. Il rischio è che, essendo entrambi forti, si instauri una diarchia istituzionale e politica o un bi-presidenzialismo, fonte di tensioni e attriti” (il Dubbio, 4.11.23). Anche in questo caso, a parlare non è un comunista inveterato. Ma un autorevole rappresentante del centro-destra, Marcello Pera, a suo tempo presidente del Senato, in quota FI. Uno dei mitici ‘professori’ del primo governo Berlusconi. Ebbene, di nuovo, qual è la carta buona?

E quindi, forse, sarebbe stato meglio ignorare questo tsunami mediatico perché, probabilmente, si tratta dell’ennesimo diversivo per nascondere dietro il polverone problemi di altra natura. Ma a forza di far finta di nulla, ci avvitiamo in una democrazia incerta, da cui certamente il Paese non ci guadagna. Soprattutto in questo caso, che sono in ballo trasformazioni istituzionali profonde che non si sa bene dove vadano a parare. Potrebbero buttarci su strade tremendamente accidentate da cui, poi, sarebbe difficile tornare indietro, se non al prezzo di lacerazioni e conflitti. Non è il momento di fare salti mortali, non ci possiamo permettere avventure. Ma soprattutto, non ci sono le condizioni per riforme di questa portata e non c’è sufficiente cultura politica per affrontare sfide del genere.

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