Come in alcuni Paesi d’Europa, e come traspare anche dalla telefonata “rubata” a Giorgia Meloni dai sedicenti comici russi, anche a Washington cresce una certa stanchezza verso Kiev e freddezza per fornire nuovi aiuti “illimitati” all’Ucraina.
Al Congresso USA il nuovo speaker della Camera, il repubblicano Mike Johnson, è contro l’ipotesi di Biden di unificare gli stanziamenti per Ucraina e Israele nel nome di un unico fronte “a difesa della libertà”, destinando poi 14 miliardi di dollari ad Israele e 61 all’Ucraina, oltre a 9 miliardi in aiuti umanitari a Gaza e altri fondi per contrastare la presenza militare cinese, per un “pacchetto” totale di ben 106 miliardi di dollari.
Una somma che da sola risolverebbe il futuro di milioni di profughi, ma purtroppo il mondo gira così: è molto probabile che vengano approvate velocemente le spese per Tel Aviv, ma anche che vengano molto ridotti nuovi aiuti a Kiev vista l’opposizione crescente dei repubblicani a stanziamenti ingenti a favore di Zelensky.
Queste prevedibili incertezze rischiano di offrire a Putin una patente di vittoria, almeno d’immagine, ma d’altronde, dopo 20 mesi di guerra, non solo i russi sono di fatto sempre sulle loro posizioni raggiunte poche settimane dopo l’inizio dell’invasione, ma Kiev ha evidentemente fallito la programmata controffensiva estiva annunciata con molta enfasi, poi spentasi senza risultati concreti nonostante un dichiarato impegno massiccio di armi occidentali.
Voci sempre più diffuse e recentemente riprese anche dai media USA (ad iniziare dal Washington Post e dal New York Times) lo spiegano per una corruzione dilagante in Ucraina anche ad alto livello, nessun controllo sugli appalti e sulle forniture, mentre una parte degli aiuti sarebbero finiti al mercato nero o venduti a terzi e in parte addirittura “rientrati” in USA con sospette triangolazioni finanziarie.
Non da oggi, per esempio, la vicina Transnistria è terra di nessuno controllata dai commercianti d’armi che le rastrellano rivendendole poi in tutto il globo per i tanti conflitti minori “a bassa intensità” che incendiano il mondo, spesso nel disinteresse di tutti. Possibile che il ricco piatto di una guerra proprio sulla porta di casa non abbia permesso di fare affari d’oro ai signori della guerra di Tiraspol che da sempre hanno molti amici a Kiev?
Di certo c’è solo che gli aiuti militari all’Ucraina sono comunque serviti per svuotare gli arsenali bellici dell’Occidente (con l’interessante prospettiva di nuove forniture) pur senza portare a risultati oggettivi sul campo.
Se il Congresso USA decidesse dei tagli – magari in termini progressivi – motivandoli con la necessità di schierarsi maggiormente con Israele, è chiaro che la NATO intera (molto divisa al suo interno sul Medio Oriente, lo si è visto anche durante l’ultima votazione all’ONU) dovrebbe prenderne atto, mentre alcuni Paesi come Polonia, Ungheria e Slovacchia sono da tempo sempre più restii a fornire altri aiuti militari.
Che sia allora finalmente giunto il momento di intavolare trattative serie con Mosca che dal canto suo – pur ostentando sicurezza – è pure in difficoltà per la lunghezza del conflitto?
Certamente Mosca sta dimostrato di saper uscire senza grandi danni dalle sanzioni, un blocco che invece si è ripercosso sulle economie occidentali che sono entrate in una evidente crisi economica ed energetica, ma anche Putin non ha utilità a perpetuare la guerra, magari ottenendo un regime di autonomia internazionale per il Donbass e sicurezza in Crimea.
In ogni caso – come insiste quotidianamente papa Francesco – è forse davvero il momento per proporre e tentare una tregua anche solo temporanea, un “cessate il fuoco” in attesa che gli USA annuncino o meno nuovi stanziamenti, visto che comunque la promessa di Biden di continuare a sostenere illimitatamente l’Ucraina, ribadita ancora a settembre durante l’ultima visita di Zelensky a Washington, è sempre più difficile da mantenere.
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