Durante il secolo XIX si diffuse tra i cattolici la convinzione che la guerra e le calamità naturali fossero lo strumento attraverso il quale Dio poteva punire gli uomini per le loro colpe.
La concezione della guerra come ‘castigo divino’ esprimeva però un’antropologia condizionata in termini negativi, e condannava la pretesa dell’uomo di autodeterminarsi, rinunciando ad affidarsi a Dio, sia nella vita individuale, sia in quella collettiva.
È in questo contesto storico e ideologico che si inserisce il contributo fondamentale di alcuni pontefici, come Leone XIII e Pio X.
Il primo, pur riaffermando la concezione di «guerra giusta», auspicò che il ricorso all’arbitrato internazionale potesse scongiurarla, dando un impulso decisivo alla attività diplomatica della Santa Sede; il secondo denunciò la conflittualità della sua epoca, promuovendo iniziative di preghiera volte a scongiurare il pericolo dell’ampliamento del conflitto mondiale.
A seguito della morte di Pio X il conclave del 3 settembre del 1914 elesse il genovese Giacomo Della Chiesa, già arcivescovo di Bologna ed esperto nell’ambito della diplomazia pontificia, che scelse per sé il nome di Benedetto XV. Che promosse la pace con maggior decisione, con l’obiettivo di riportare la Santa Sede al centro della politica internazionale.
La sua azione fu istantanea e iniziò con l’esortazione apostolica Ubi primum, pubblicata l’8 agosto 1914, nella quale definì la guerra «un immane spettacolo che ci ha riempito l’animo di orrore e amarezza».
L’aspetto che più allarmava il pontefice verteva sul fatto che il conflitto in corso si stesse combattendo tra cristiani, pertanto non tardò ad intervenire con un secondo appello, ora rivolto ai «prìncipi e governanti», ovvero con l’enciclica Ad beatissimi apostolorum, datata 1° novembre 1914.
Papa Benedetto XV, oltre ad auspicare di liberarsi dallo «stato anormale in cui si trovava», cioè quello di aver perso ogni influenza politica verso gli Stati, esortava a ripristinare «di nuovo per il bene tanto della società che della Chiesa, la fine dell’attuale disastrosissima guerra».
Entrambi i tentativi non sortirono il risultato sperato, ma il pontefice non si diede per vinto e
si dedicò ad interventi umanitari tendendo la mano anche ad associazioni laiche con sede in territorio neutrale, come la Croce Rossa svizzera.
Un cambio di passo avviene con il 1° agosto 1917 con la famosa Lettera del Santo Padre ai popoli belligeranti del 1°agosto 1917 che, oltre a contenere soluzioni utili per la pace, venne scritta in francese, la lingua utilizzata per le relazioni internazionali.
L’esplicito invito di Benedetto XV ad un’«intera e reciproca condonazione dei danni di guerra» non sortì di nuovo alcun esito immediato: i danni di guerra, infatti, erano ormai troppi e per questo era diffuso tra i popoli il desiderio di una vittoria totale e decisiva, che poteva essere ottenuta soltanto sul campo di guerra. La frase che fece più eco per la sua incisività definiva la guerra una «inutile strage», giudizio ritenuto inaccettabile dalle parti in conflitto, che percepivano come vane le morti dei loro connazionali.
Anche le reazioni delle Chiese nazionali furono paradossali: alcune di esse arrivarono persino a santificare il conflitto in corso, piuttosto che sostenere la causa della pace.
In un clima così complesso e teso anche i politici non accolsero le proposte di Benedetto XV, tra costoro fu esemplare l’intervento del ministro italiano Sonnino, che giudicò le proposte del papa talmente indeterminate da non poter essere considerate.
A prescindere dalla mancanza di un immediato riscontro positivo alle proposte del pontefice, non può passare sotto silenzio l’importanza del suo contributo per promuovere una nuova immagine della Santa Sede come mediatrice tra gli Stati per la causa della pace.
Egli pur non possedendo un territorio sul quale esercitare il potere temporale, e pur essendo privo di mezzi politici e simbolici per fare pressione sui popoli, molti dei quali non erano rappresentati presso la Santa Sede, consolidò le basi gettate dai suoi predecessori, e con ogni probabilità contribuì ad evidenziare la necessità che la Chiesa tornasse a godere di un suo territorio, per essere davvero un’istituzione super partes, quindi un’efficace mediatrice.
Ma questo si verificò soltanto più tardi, con i Patti lateranensi dell’11 febbraio del 1929, firmati dal suo successore, papa Pio XI, che divenne il primo sovrano del nuovo Stato della Città del Vaticano.
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