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Attualità

SILVIO NO, BOBO CHISSÀ

FABIO GANDINI - 02/11/2023

++ Malore per Roberto Maroni, è ricoverato in ospedale ++È prerogativa di chi comanda – regolarmente eletto – prendere decisioni che possano condizionare una moltitudine di persone: il volere di uno diventa il volere di tutti.

È la democrazia, bellezza: succede a Roma, succede a Varese; succede in ogni aspetto della quotidianità di un governo, anche in ambiti altamente sensibili, quelli in grado di determinare il futuro – economico, sociale, familiare – dei cittadini, e succede a maggior ragione in ambiti meno decisivi.

Intitolare un luogo di una città a una personalità che ha navigato la res publica, e per farlo ha dovuto schierarsi, è una decisione indubbiamente politica. Ed è perfettamente nelle regole del gioco che le singole amministrazioni comunali tendano a spendere il proprio sì solo per le richieste che riguardano personaggi che sono appartenuti al loro credo politico. Avviene sempre, avviene dappertutto.

Nessuna sorpresa, quindi, quando il 26 settembre scorso la maggioranza consiliare di Palazzo Estense ha bocciato la mozione del consigliere forzista Simone Longhini che chiedeva di intitolare una via o una piazza a Silvio Berlusconi, deceduto proprio quest’anno. Nella discussione che ha preceduto la votazione, i consiglieri del Partito Democratico si sono dimostrati netti: “non vogliamo alcuna via Berlusconi, è stato un personaggio troppo discusso e divisivo”il succo delle loro motivazioni. Più neutra la posizione del sindaco Davide Galimberti, al quale è stato ricordato di rappresentare tutti i cittadini e non solo una parte: alla richiesta di intitolazione, Galimberti ha opposto il fatto che tre mesi (Berlusconi è morto il 12 giugno) non sono i dieci anni prescritti dalla legge in materia di toponomastica.

La legge, tuttavia, prevede anche altro, e il sindaco lo sa bene: su delega del ministero dell’Interno, il Prefetto può derogare al divieto di intitolare vie, piazze o altri luoghi pubblici a persone che siano decedute da meno di dieci anni, se si tratta di persone che abbiano particolari meriti nei confronti della Nazione.

Insomma, volere è potere. Ma la sostanza non cambia, che la si guardi dal lato del – passateci il termine – “lavarsi le mani”galimbertiano, oppure da quello del secco no del PD: non sarà questa amministrazione a sdoganare “piazza Cavaliere”. Ed è più che comprensibile, del resto.

La partita sarà invece molto più complessa quando giunta, maggioranza e quindi consiglio dovranno pronunciarsi sulla recentemente annunciata mozione del leghista Stefano Angei di intitolare un luogo della Città Giardino a Roberto Maroni, che ha lasciato questa terra il 22 novembre 2022, a soli 67 anni.

Nel caso di specie sarà molto più difficile fermarsi al fatto che l’ex Ministro dell’Interno e Governatore della Lombardia, nonché consigliere comunale di Palazzo Estense, sia stato per tutta la sua carriera politica un alfiere della Lega. In primis perché, a differenza di Silvio Berlusconi, Maroni è stato un varesino: qui è nato, qui è cresciuto, qui ha vissuto, qui ha ricoperto cariche pubbliche, da qui ha spiccato il volo per arrivare ai vertici della Regione e dello Stato.

Nel testo della mozione depositata da Angei, come ovvio che sia, i suoi eredi politici ne hanno sottolineato il notevole cursus honorum e i meriti del suo incedere, tra cui la lotta alla mafia a livello nazionale e – a livello locale – l’accordo di programma da lui firmato in qualità di presidente lombardo che ha permesso la ristrutturazione ora in corso dell’ex Caserma Garibaldi.

L’elenco basterà a trovare una totale intesa? Improbabile. La curiosità di capire come la maggioranza (sindaco compreso, il quale stimava grandemente – ricambiato – Bobo l’avversario, tanto da essergli vicino anche durante la malattia) si comporterà, però, è notevole: davanti a essa c’è una decisione che mischierà la politica con la sensibilità e la memoria di questa città.

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