Le prossime settimane saranno particolarmente importanti per la gestione del debito pubblico italiano, un debito che si sta avvicinando a quota tremila miliardi e che comporta ogni anno una spesa vicina ai cento miliardi per il pagamento degli interessi. La gestione del debito comporta tuttavia l’esigenza di avere disponibili quasi 500 miliardi ogni anno perché al pagamento degli interessi si aggiunge la necessità di rinnovare i titoli in scadenza.
Sotto questo profilo nelle prossime settimane ci saranno scadenze particolarmente importanti. In primo piano c’è l’approvazione della legge di bilancio, la legge che definisce entrare e uscite dello Stato e che anche per il 2024, euro più o euro meno prevederà un deficit (cioè la differenza tra le entrate e le uscite) vicina ai cento miliardi. È tutto nuovo debito che si aggiunge a quello accumulato negli anni passati.
A questo punto entrano in scena le agenzie di rating, quelle società che hanno il mandato di giudicare la sostenibilità degli strumenti finanziari emessi dalle imprese o dal settore pubblico. Standard and Poor’s ha già emesso nei giorni scorsi il proprio verdetto lasciando immutato il proprio voto così come ha giudicato stabili le prospettive per i prossimi mesi. Il 10 novembre sarà la volta di Fitch Ratings e il 17 una delle agenzie più importanti, Moody’s.
Le società di rating tengono periodicamente aggiornate le loro pagelle. Si va dalla promozione piena, la tripla A che indica una elevata capacità di ripagare il debito, per scendere prima alla doppia poi alla semplice A che indica che la solidità rimane immutata, ma potrebbe essere influenzata da circostanze avverse. Si scende poi alla tripla B che indica un’adeguata capacità di rimborso, che nel futuro potrebbe peggiorare, per poi passare alla semplice B e in qualche caso anche alla C per segnalare un debito prevalentemente speculativo. A questo voti si aggiungono poi le valutazioni di prospettiva, i cosiddetti “outlook”, che possono essere positivi, negativi o stabili indicando una possibile revisione del rating a breve-medio termine.
I paesi con la tripla A sono rimasti pochi: Germania, Svizzera, Canada, Australia, Svezia, Olanda e Norvegia. Hanno creato scalpore negli anni scorsi le agenzie di rating che si sono permesse di declassare, da AAA a AA, Stati Uniti e Francia. L’allora presidente Obama disse esplicitamente che il debito americano non poteva essere messo in discussione.
L’Italia ha ormai da tempo la tripla B con outlook che tuttavia oscillano spesso. Standard and Poor ha fatto scendere lo scorso anno la valutazione da positiva a stabile giustificando la scelta con la necessità di bilanciare “i rischi crescenti per l’economia e le finanze pubbliche derivanti da fattori esterni e interni con la solidità dei bilanci delle famiglie e delle imprese e con la ricchezza e la diversità dell’economia italiana”.
Per Moody’s invece l’outlook per l’Italia è negativo, l’ultimo gradino del livello di affidabilità dell’investimento. Se si scendesse ancora si arriverebbe a quelli che vengono chiamati “titoli spazzatura”, titoli che potrebbero perdere valore da un giorno all’altro sotto la spinta di eventi imprevisti e imprevedibili.
Il problema non è irrilevante: se il rating scendesse di un gradino questo vuol che i grandi fondi e le società finanziarie non solo non potrebbe più acquistare titoli italiani, ma dovrebbero gradualmente vendere quelli che possiedono (e non sono pochi). Con effetti pesanti sulla gestione del debito.
Quindi meglio incrociare le dita. Quello che è certo è che le attuali tira e molla sul bilancio non danno un’idea di politica oculata della spesa pubblica.
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