Mi serviva una lezione chiara e lucida per affrontare i drammi del Medio Oriente: quella di un grande ebreo capace di equidistanza, l’ultra centenario francese Edgar Morin, mi è venuta incontro al momento opportuno, quando ancora non riuscivo a capacitarmi dei mostruosi massacri del 7 ottobre contro gli ebrei israeliani, e nemmeno a giustificare la spietatezza delle reazioni di Israele.
Perché abbiamo grande bisogno di parole di saggezza che siano prive dell’odio che offusca ogni verità. Forti le parole dell’uomo che ha attraversato il Novecento senza sottrarsi al dovere di essere parte attiva negli eventi più i significativi del “secolo breve”: la Resistenza, la condanna della Shoah, la militanza tumultuosa e presto interrotta nel partito comunista francese, la ricostruzione culturale della Francia dopo gli scempi compiuti dal nazifascismo.
Esperto di sociologia, filosofia, pedagogia e psicologia, studioso eclettico stimato nel panorama culturale europeo e non solo, Morin è un pensatore originale amato e riconosciuto ovunque nel mondo.
Di antica famiglia ebrea sefardita, discendente da ebrei nomadi d’Europa che avevano attraversato Italia, Spagna e Turchia, è un ebreo cosmopolita pienamente legittimato a esprimere giudizi qualificati sul drammatico conflitto israelo – palestinese e sule conseguenze della guerra in atto tra Israele e Hamas.
Suona profetico il suo contributo dal titolo “Respingere l’odio” perché offre una lettura oggettiva dei torti e delle ragioni delle parti in conflitto e ne prefigura gli effetti.
L’odio tra questi popoli vicini viene da molto lontano.
Oggi assistiamo alla violenza della sua inarrestabile escalation, nutrita e sostenuta dalla cecità politica di entrambe le parti.
Un odio antico e sempre presente che ha generato lo stato di delirio: nemico mortale è l’altro, il popolo ritenuto portatore di colpe storiche collettive.
Il popolo nemico attenta alla propria esistenza e va dunque soppresso, poi cancellato dalla storia ad ogni costo.
L’odio non può generare risposte positive, non risolve i conflitti, incancrenisce la società che lo custodisce. Al contrario, giustifica massacri, sollecita vendette, rende nullo ogni tentativo di mediazione creando una catena di atti irreparabili.
Né gli israeliani né i palestinesi sono nuovi allo stato di cose attuali: per gli uni la causa dell’odio sta nelle radici dell’antisemitismo storico che ha prodotto la catastrofe della Shoah consumatasi nel cuore di un’Europa incapace di reagire.
Per gli altri, il popolo arabo palestinese, l’odio ha generato la Naqba, la catastrofe di cui si ritengono vittime da decenni ad oggi.
Anche le responsabilità del mondo occidentale sono innumerevoli: la più eclatante sta nel non avere mai creduto veramente alla realizzabilità del progetto “due popoli due Stati”.
I faticosi accordi di Oslo siglati tra Rabin e Arafat del settembre 1993 hanno avuto vita brevissima, interrotti da Israele a seguito dell’assassinio di Rabin per mano di un colono ebreo estremista e fortemente osteggiati dalle componenti più radicali dei palestinesi.
Le prospettive sono fosche, teme Morin, mentre trionfano le verità unilaterali.
Odi e paure sommergono gli spiriti, l’azione congiunta delle Nazioni Unite e degli Stati occidentali non porta ad alcun risultato definitivo.
Di fronte al temuto avvento del peggio, si provi almeno a resistere ai deliri e a respingere l’odio.
“Perché l’odio porta solo odio”, dice qualcuno nel film francese del 1995 intitolato proprio “L’odio”. Vinz promette di uccidere un poliziotto se Abdel, il ragazzo fermato per un controllo e finito all’ospedale, dovesse morire.
Da quel momento, per i protagonisti la discesa verso la rovina del gruppo diventa inarrestabile.
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