«Perché si vuole mantenere oggi un potere che sarà ricordato per la sua incapacità di intervenire quando era urgente e necessario farlo?». Il messaggio della “Laudato Si’”- amore, salvezza e liberazione oltre i credenti – caratterizza anche la recente esortazione papale “Laudate Deum”, che, tuttavia, è ben più che un aggiustamento del tiro della precedente Enciclica. Anzi, traspare con una certa ruvidezza la percezione di un’accoglienza tuttora insufficiente della predicazione del papa tra i fedeli e di un ostinato permanere del negazionismo nelle aree di potere. In effetti, il linguaggio accessibilissimo, che annuncia l’emergenza climatica come punto di rottura per l’umanità, non è stato affatto amplificato né dalla stampa né dalla politica, che hanno sostanzialmente accolto le drammatiche riflessioni di Bergoglio come un rimediabile inciampo sulla via di una problematica crescita. vieppiù sostenuta da conflitti ed armi anche dopo la pandemia.
Eppure, ci troviamo di fronte non più solo ad un anticipatore, ma ad un testimone diretto: è stupefacente come in un documento col sigillo pontificio noi troviamo elencate le analisi più allarmanti che l’IPCC pubblica periodicamente, confermate dalla consapevolezza con cui le popolazioni del globo affrontano perturbazioni senza precedenti, che attestano quanto la variazione climatica in corso sia in brusca e insostenibile accelerazione.
Schiacciati su un presentismo continuo – oggi caratterizzato dalla immane tragedia della “guerra mondiale a pezzi” – subiamo un disorientamento temporale e ignoriamo quello che abbiamo sotto gli occhi: non abbiamo, fino in fondo, il coraggio di indicare e condividere un futuro socialmente e ambientalmente desiderabile.
Bergoglio accusa la politica e il potere di non prendere atto dell’abisso che si apre davanti allo stupore per la vita in un tempo che viene a mancare e constata che «non possiamo più fermare gli enormi danni che abbiamo causato. Siamo appena in tempo per evitare danni ancora più drammatici»
A distanza di solo otto anni dalla “Laudato”, ci stiamo avvicinando al punto di non ritorno, con fenomeni estremi che si diffondono ben al di fuori di luoghi lontani o poco praticati, come sentivamo riportare da lande e genti immancabilmente povere e senza protezione. Oggi autentiche catastrofi – per ora ancora locali, ma sempre più diffuse – entrano nell’esperienza e diventano parte ormai dell’immaginario di intere popolazioni anche del Nord ricco del Pianeta. Come stanno a dimostrare, ad esempio, la sparizione di foreste e boschi sradicati da improvvisi tifoni, la siccità estrema in pianura padana, l’estinzione dei ghiacciai che hanno accompagnato le nostre gite lungo l’arco alpino, le alluvioni romagnole o quelle tedesche o, ancora, gli incendi nella Carnia come in Canada. Il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse, addirittura, “si sta avvicinando a un punto di rottura”.
Nello sguardo alle periferie, insieme all’ascolto del «grido della terra e dei poveri», Francesco mette in luce la debolezza della politica internazionale, privata di “visione olistica e di fraternità condivisa”.
La mitigazione del clima potrebbe progredire solo se le politiche fossero coordinate multi lateralmente a tutti i livelli di governance.
A fronte del fallimento delle élite, la strada da percorrere è innanzitutto quella dal basso e l’appello va ai giovani in particolare.
Infine, con una certa durezza, ci viene ricordato che non tutti sul Pianeta consumano ed hanno sprecato nella stessa misura ed occorre ricorrere all’applicazione dell’ormai consolidato principio delle responsabilità comuni ma differenziate: uno dei capisaldi del diritto internazionale ambientale, che mette esplicitamente lo stile di vita dell’Occidente sul banco degli imputati e, soprattutto, identifica dove occorra produrre i cambiamenti più incisivi.
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