A 73 anni Sandro Donati è un uomo mite nell’anima e pacato nei modi. Se non si conoscesse la sua storia, quella di uno tra i migliori allenatori di atletica, si farebbe fatica a credere che abbia sfidato in solitudine i potentati dello sport. Eppure i suoi libri “Campioni senza valore” e “Lo sport del doping”, che sono insieme saggi e spy stories ed una serie tv trasmessa da Netlix “Il caso Alex Schwazer”, ne sono fedele testimonianza.
Lo incontriamo a Montesacro dove partecipa ad una tavola rotonda nell’ambito della “festa del volontariato” tradizionale appuntamento ottobrino del quartiere romano. L’elenco degli scandali da lui scoperchiati è voluminoso ma Donati si schermisce dicendo: «Mi sono trovato quasi per caso a combattere contro il doping ma come in tutte le cose bisogna che qualcuno faccia il primo passo».
Un Gary Cooper nel “Mezzogiorno di fuoco” dello sport italiano, vincitore ma contemporaneamente vinto. Donati infatti ci ha rimesso la carriera da allenatore ed è tuttora vittima di implacabile astio da parte dei molti che ha smascherato negli anni. Dal 1977 al 1987 è stato responsabile del mezzofondo e della velocità della Nazionale italiana di atletica leggera ed in quel ruolo ha presentato le prime denunce, compresa quella del salto in lungo truccato per far vincere in mondovisione una medaglia all’azzurro Evangelisti. Per questa scelta fu costretto a chiudere in un cassetto suo malgrado la tuta; non era più figura gradita all’establishment.
Ma con tenacia non si è fermato. Nuovi ruoli, stessi obiettivi: diventa dirigente responsabile della ricerca e sperimentazione del Coni, componente della Commissione di vigilanza sul doping, consulente del Ministero della Solidarietà Sociale e della Wada l’ Agenzia mondiale antidoping.
«Tutto è cominciato – ricorda – quando ero allenatore della squadra nazionale di mezzofondo. I dirigenti della Federazione mi invitarono a prendere contatto con un biochimico di Ferrara. Costui, senza mezzi termini, mi chiese di testare su alcuni atleti sostanze dopanti. Mi rifiutai e a Roma raccontai ai colleghi quanto era accaduto pensando che avrebbero condiviso il mio sdegno. Invece mi accorsi che gli altri allenatori avevano già accettato».
Gli si spalancano così le porte di una catastrofe: «Catastrofe soprattutto culturale – sottolinea – perché il doping tradisce le speranze dei giovani e rende irrilevante nello sport la radice della questione etica».
La sua ultima battaglia è al fianco del marciatore Alex Schwazer, l’atleta dannato e risorto. Dove tanti hanno visto una contraddizione, Donati ha invece visto la possibilità di riscatto, l’occasione per tendere la mano all’uomo fragile che ha sbagliato, pagato e che vuole rialzarsi per ricominciare. Inizia una formidabile opera di recupero che rimette l’atleta per strada: tanti a Montesacro si ricordano ancora degli allenamenti che i due facevano nel quartiere. Ma non c’è lieto fine: su Schwazer (che aveva contribuito con la sua testimonianza a far condannare alcuni medici) arriva la mannaia di una nuova squalifica per doping. Squalifica che Donati considera una ritorsione: dopo anni di ricorsi e processi un giudice di Bolzano, Walter Pelino, ha scritto infatti nero su bianco che si ritiene “accertato con alto grado di credibilità che i campioni di urina siano stati alterati allo scopo di farlo risultare positivo e di ottenere la squalifica e il discredito dell’atleta come pure del suo allenatore”.
«Le federazioni sportive – conclude Donati – sono giganteschi sistemi di potere. I controllati scelgono loro stessi i controllori e solo quando interviene la magistratura civile c’è speranza di giustizia».
La sua voce ora ha qualche nota di stanchezza. Ma quando la conversazione si sposta sui giovani l’entusiasmo torna ad accendersi: «Lo sport è un formidabile fattore educativo, soprattutto in tempi difficili come i nostri. Abbiamo il dovere di offrire ai nostri ragazzi discipline pulite. I pasticci li creano generazioni di adulti che in nome della carriera e del denaro si fanno corrompere: sono storture che vanno denunciate. È in gioco il futuro della nostra gioventù».
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