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Società

NOCTALGÌA

GIOIA GENTILE - 20/10/2023

stelleL’ultima volta che ho visto le stelle – in senso letterale – risale a venti o venticinque anni fa. Fu durante una passeggiata con amici dal Campo dei Fiori al Forte di Orino. Quando ci incamminammo c’era ancora luce, ma al ritorno il buio era già calato. Percorremmo il sentiero in discesa con le pile accese, ben attenti a dove mettevamo i piedi. Ad un certo punto, però, ci fermammo, le spegnemmo e, magicamente, il cielo sopra di noi si illuminò e un amico, che di stelle ne sapeva, cominciò a nominare le costellazioni ad una ad una. Erano così vicine che mi sembrò di vederle per la prima volta. Invece era l’ultima. Non ho più avuto occasione di fare passeggiate notturne su sentieri di montagna o di campagna e nel cielo che vedo dalla città riesco a distinguere, al massimo, Luna e Venere.

Da allora, ogni tanto mi prende la noctalgìa. Non sapevo neppure che avesse un nome. L’hanno inventato da poco gli scienziati per indicare quel malessere che deriva dal non poter più godere del buio della notte. Hanno voluto che significasse “dolore del cielo”, come a suggerire, oltre alla nostalgia per il cielo stellato che coglie gli esseri umani, anche la sofferenza che il cielo notturno patisce per le troppe luci che si accendono sulla Terra.

Non si tratta però solo di nostalgia per un ambiente naturale che tende a scomparire, ma, secondo alcuni studi sviluppatisi dagli anni 2000, di disturbi che colpiscono tutti gli esseri viventi, animali compresi, a causa dell’alterazione del ritmo circadiano e che, negli esseri umani, possono manifestarsi persino con malattie cardiovascolari e tumori.

Conclusioni, queste, che mi convincono poco, almeno per quanto riguarda noi umani, che possiamo comunque crearci il buio che vogliamo nella nostra camera da letto, per mantenere il ciclo naturale luce/buio. E non apprezzo affatto la proposta di spegnere completamente o parzialmente l’illuminazione pubblica, avanzata in Francia da un movimento che rivendica il diritto all’oscurità, senza tener conto dei problemi di sicurezza. Secondo Le Monde, la correlazione tra buio e crimine non è mai stata provata e l’insicurezza sarebbe una percezione, provocata dall’angoscia che nasce dall’incognito.

A me invece l’incognito affascina; ciò che mi manca del cielo stellato è appunto il mistero, la magia, la possibilità di perdermi col pensiero in quegli spazi, purché non si tratti di farlo da sola in una strada cittadina dove siano stati spenti i lampioni. Mi manca la suggestione delle leggende, dei miti, delle religioni che nel corso della storia umana hanno riempito di speranze il cielo e le sue stelle. Ricordo le passeggiate notturne che facevo da bambina con parenti e amici su strade sterrate, e le notti in montagna, attorno a un falò o fuori da un rifugio, quando tutti insieme si cantava o si taceva e le stelle quasi potevi toccarle. Sentirsi piccoli non significava insicurezza, perché la solidarietà la annullava e nel silenzio del buio si diventava un elemento stesso del mistero.

Pare che oggi solo il 60% degli Europei possa vedere la Via lattea a occhio nudo e che l’83% della popolazione mondiale viva sotto un cielo rischiarato artificialmente da lampade e insegne luminose. Probabilmente è il prezzo che dobbiamo pagare per il benessere e, benché ci siano ancora luoghi da cui si può ammirare la notte stellata, non sarà mai come trovarsela lì, nel riquadro della finestra spalancata.

 

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