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Cultura

PROFESSIONE FOTOGRAFO

CESARE CHIERICATI - 20/10/2023

Carlo Meazza con Briga

Carlo Meazza con Briga

C’era la fila sabato scorso alla multisala Impero di Varese per celebrare i cinquant’anni di fotografia di Carlo Meazza. Al punto che gli organizzatori hanno dovuto allestire in corsa un incontro bis per chi non era riuscito a trovare posto a sedere al primo turno. Una prova dell’affetto e della simpatia che moltissimi varesini nutrono per Carlo fin da quando, giovanissimo, cominciò ad armeggiare con le macchine fotografiche del padre Giuseppe, giornalista della Prealpina, montanaro, soldato sul fronte greco-albanese durante la seconda guerra mondiale.

Come spesso naturalmente accade nella vita, Carlo ha superato papà Giuseppe collezionando in carriera la bellezza di una novantina di accurati libri fotografici, dedicati alle montagne, all’Oriente, al Tibet, all’Africa profonda, al sud America, alla Lombardia, a Varese, alla Pallacanestro. Tutti confezionati con inesausta curiosità. Sempre comunque con fatica, sempre con un approccio rispettoso ed educato alla realtà che incontrava, sempre, quando lo riteneva opportuno, supportato da collaboratori amici per testi e scelte grafiche. Il tutto impreziosito da una vena di naturale mitezza, un tratto dominante del suo carattere al fondo schivo e solitario.

Nel suo mestiere (“mi sento un artigiano non un artista”) ha fatto tutto benissimo: paesaggi, personaggi, mestieri, arti, architetture, atmosfere e cronache. Con al centro sempre le persone colte nella loro verità quotidiana, a volte festosa e amicale, altre volte dolorosa e ostile. Il denominatore comune alla base dei suoi numerosi successi credo risieda da un lato nella passione che dentro di lui si accende qualsiasi sia il soggetto fotografico con cui deve misurarsi; dall’altro sta invece nelle ricerca ostinata e costante di migliorare la qualità delle sue foto.

Un giorno di tanti anni fa un suo committente mi disse: “se chiedo a Meazza una foto dei castelli di Bellinzona (splendido patrimonio Unesco in terra ticinese ndr.) non cerca nel suo archivio, sale subito in auto per andare a farne altre nuove sul posto”. Nella solida convinzione che è sempre possibile fare qualche passo in avanti. Questa è una componente importante del suo artigianato fotografico fatto, talvolta, anche di notti passate all’addiaccio su un monte, nell’ansa umida di un fiume o sulla spiaggia di un lago, al limitare di un gregge, nell’attesa vigile e silenziosa di un cambio di luce che lui reputa decisivo. Per tanti anni con la compagnia calda e silenziosa di Briga, la sua femmina di pastore bergamasco che sembrava capire i tempi lunghi di Carlo e che ora non c’è più.

Nell’animo di un “fotografo viandante” come Carlo Meazza credo si siano sedimentate e intrecciate nell’arco di cinquanta e più anni tante immagini e tante storie. Forse quelle a cui è maggiormente affezionato sono legate al Monte Rosa che scoprì da bambino mentre era impegnato in giochi d’acqua sul lago di Varese. Vedendo uscire il gran monte dalle foschie estive, come una lenta magia, ne fu per sempre stregato. Per anni lo ha percorso in lungo e in largo sempre più affascinato dalle dimensioni hjmalayane del massiccio che incombe sui declivi, sui laghi e sui colli della terra prealpina. A quelle cime, a quelle pareti, ai suoi ispidi sentieri ha dedicato più di trent’anni fa un volume di straordinaria forza espressiva e di grande successo che oggi si appresta ad aggiornare dopo l’ultima fatica di “Passi e ospizi alpini” e quella, tutta varesina, sul felice risanamento del “Campanile” della Basilica di San Vittore.

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