“Sorry, can you move? We have to start a visit!”
Mia moglie e io siamo inginocchiati su una delle prime panche della basilica di Santa Maria del Mar, davanti a una statua della Madonna di fronte a cui dal ‘300 in poi migliaia di portuali della città spagnola (gli stessi che hanno contribuito a edificare lo splendido edificio) si sono fermati a pregare. Ma evidentemente ciò non basta a fermare la rapace curiosità del gruppo di turisti stranieri per cui la preghiera (cioè il nesso costitutivo dell’uomo con l’Infinito che ha originato la costruzione della grande chiesa) è solo un ostacolo alla loro visita.
Benvenuti a Barcellona, gaia e nichilista, in cui il rapporto con la propria storia è sepolto da strati di sazia distrazione: per tracciarne la memoria le guide sui pullman non trovano di meglio che citare un film di Woody Allen girato in città. Come non ricordare Pasolini quando scriveva: “guardo i crepuscoli sui ruderi di Roma e sul mondo come i primi atti della Dopostoria cui assisto per privilegio d’anagrafe sull’orlo estremo di qualche età sepolta”.
Eppure proprio a Barcellona c’è la prova di come la fede sia in grado di parlare al cuore dell’uomo. È una costruzione del ‘900 in mezzo a una città europea e moderna, visibile da ogni quartiere e che costringe a non fermarsi alla dimensione orizzontale dell’esistenza ma ad alzare lo sguardo: la Sagrada Familia.
Il suo architetto Antoni Gaudì (per cui è in corso la causa di beatificazione) ha compiuto il miracolo ricordato da Benedetto XVI durante la sua visita alla cattedrale nel Novembre del 2010: “Guadì ha realizzato ciò che oggi è uno dei compiti più importanti: superare la scissione tra coscienza umana e coscienza cristiana, tra esistenza nel mondo temporale e apertura alla vita eterna, tra bellezza delle cose e Dio come Bellezza. E non ha realizzato tutto ciò con le parole, ma con le pietre, le linee, le superfici e i vertici”.
Già ammaliati dalla visione esterna (pur in parte nascosta dai lavori del cantiere che dovrebbero terminare nel 2026) la visita alla Basilica costituisce infatti una affascinante sorpresa. L’architetto catalano ha progettato l’interno come la struttura di un bosco, con colonne a forma di alberi che vanno a dividersi in modo da formare rami che sostengono la struttura a volte. Le colonne sono inclinate in modo da ricevere al meglio la pressione perpendicolare alla loro sezione e sono realizzate a forma elicoidale a doppia elica, come i rami e i tronchi degli alberi. Una serie di accorgimenti tecnici impiegati permette di sostenere il peso delle volte senza utilizzare contrafforti esterni: nelle Università di Architettura è diventata materia di studio. Le vetrate colorate inclinate poi permettono alla luce di entrare da parti diverse dell’edificio a seconda delle ore e di illuminare qua e là cambiando di volta in volta le prospettive.
Anche l’esterno non è da meno: diciotto torri affusolate, ieratiche, solenni e di altezza diversa (la più’ alta quella del Cristo raggiungerà i 172 metri ma sarà di pochi metri inferiore all’altura del Montjvic che sovrasta Barcellona, perché – ammoniva Gaudi – l’uomo non deve superare l’altezza di Dio), tre facciate, decine di statue. Le raffigurazioni, con innumerevoli immagini e simboli intrecciano lungo le pareti un racconto di tutto il mistero cristiano secondo il ciclo dell’anno liturgico. Oltre a figure di santi, episodi biblici, scritte religiose, l’architetto (che visse come un asceta nel cantiere e morì in un incidente quasi in incognito) ha arricchito ogni dettaglio di simboli, emblemi, elementi della flora e della fauna catalana, perché questo tempio fosse il più rappresentativo possibile del posto. Diceva: “La mia è un’opera che è nella mani di Dio, nella volontà del popolo e affidata alla provvidenza di San Giuseppe”. Fede e ragione si sono incontrate. Preghiera e tecnica si sono abbracciate. La Sagrada Familia è una foresta incantata dove, caso raro per una chiesa, anche ad un bambino viene voglia di giocare.
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