La guerra impazza nel mondo, più che mai.
Non c’è giorno in cui migliaia di perseguitati non debbano fuggire dalle proprie case, lasciandosi tutto dietro di sé, a volte persino gli affetti più cari. Perché spesso i vecchi non vogliono, ma più sovente non possono, andarsene via.
Siamo una terra che ogni giorno riceve dal mare barconi di profughi perseguitati dalla politica, dalla guerra, dalla povertà di paesi allo sbando. E dunque vediamo e sappiamo. Però stiamo a polemizzare sul “tocca a me tocca a te prenderli”, dimenticando le migrazioni dei nostri padri. E non riusciamo, o non vogliamo vedere -e dunque la sosteniamo- l’arroganza di chi guida i giochi a scopo di guadagno e si autorizza a portare morte e lutto agli altri.
Abbiamo ormai capito come sia fragile e precario il destino di tutti noi. Per i figli italiani del dopoguerra, che hanno visto la nazione tradita dei padri rifiorire e riprendersi nel progresso degli anni Cinquanta e Sessanta, questo viaggio all’indietro del mondo che sbarca a Lampedusa, a Palermo, o in Calabria, e popola il Mediterraneo -l’antico Mare Nostrum- di poveri annegati, sembra ancor più tragico, in quello srotolarsi all’indietro della pellicola dell’indigenza e del dolore, dell’umiliazione e della sofferenza, della malattia e della morte tragica di chi non ha potuto farcela a coronare un giusto sogno di libertà e benessere.
La guerra portata in Ucraina dalla Russia, e ora la guerra tra Hamas e Israele, non mostrano che omicidi e sangue.
Il rave party dei giovani israeliani s’è chiuso con la morte di settecento giovani e la cattura di ostaggi trattenuti da pessime mani. Mentre scorrevano le terribili immagini, a Stoccolma si distribuivano i Nobel, nel nome di un premio nato proprio dalla ricerca di pace tra gli uomini.
Il riconoscimento è toccato anche a importanti figure femminili. Tra loro una studiosa di storia economica che ha messo cuore e mani nella sua ricerca a caccia di notizie sul lavoro femminile lungo duecento anni. Si chiama Claudia Goldin, docente ad Harvard, classe 1946, e fa piacere sia piaciuto a Stoccolma che emergessero la forza e la sofferenza, la tenacia e l’impegno delle donne, raccontati da un’altra donna. Diversamente trattate e considerate, ma sempre più attente alla propria condizione e alla rivendicazione di diritti negati per anni, ancora oggi hanno… un po’ di strada da fare. Come dimostra Narges Mohammadi, altro Premio Nobel, questa volta per la Pace. Decisamente nobile e coraggiosa, la cinquantunenne iraniana, paladina dei diritti umani e di quelli delle donne in particolare, ha affrontato la lunga detenzione, ancora in corso, le percosse e i tanti arresti con il coraggio che si addice a una eroina.
Forse non ci resta proprio che il coraggio delle donne, vittime, con i bambini e i più giovani, di un mondo imbarbarito, che non trova più buoni argomenti da sostenere e pare occuparsi solo di interessi, di soldi, di macchine da guerra e di morte.
Si fa la gara per sbarcare di nuovo sulla luna: e sarebbe bello, se non fosse che anche qui è partita la rincorsa massiccia al potenziale sfruttamento del nostro satellite. Ma intanto stiamo drogando il mondo in cui viviamo con il fumo venefico delle armi, della crudeltà elevata a diritto di minare la vita degli altri. Dimenticandoci delle ferite che abbiamo giù inferto alla terra.
Forse è una combinazione che dà un po’ di respiro, un pizzico di speranza, questa folata di vita e di libertà che arriva dalle Signore premiate a Stoccolma.
Ci vuole più che mai una giusta conversione all’amore, accanto alla laica voglia di dare un calcio in bocca allo stupido e laido male. Che siano le donne, stanche e sofferenti ma mai sconfitte, a tirare per prime in porta il rigore della rivincita.
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