Oggi, domenica 24 settembre, mi sono resa conto di quanto io sia – diciamo così – datata. E ancor più datata in considerazione del fatto che la cosa non mi dispiace.
Ho rivisto, durante la trasmissione In mezz’ora su Rai3, in cui si commemorava Giorgio Napolitano, uno spezzone di una Tribuna politica del 1966 che mi ha affascinato. Reazione stranissima, perché ricordo bene che all’epoca, quando in TV c’era quel programma, le discussioni familiari erano assicurate: mio padre voleva vederla, mia madre ed io assolutamente no. E poiché in casa c’era un solo televisore, tutti dovevamo vedere lo stesso canale. Non che ci fosse molta scelta: allora esisteva solo la Rai, e solo 2 canali; comunque, per noi donne della famiglia qualunque altra trasmissione sarebbe stata preferibile a quella. Non c’è da stupirsi: era una trasmissione ingessata, senza alcuno spazio di alleggerimento, ed anche i politici invitati ci mettevano del loro, esprimendosi in un poco comprensibile politichese. Nella lotta familiare vinceva sempre mio padre, mia madre se ne andava arrabbiata e io mi ritiravo nella mia stanza a leggere – e, tutto sommato, mi piaceva più che guardare la TV.
Quindi mi sono stupita di me stessa nel rendermi conto di essere rimasta incantata, oggi, davanti allo schermo e di essere dispiaciuta quando, dopo pochi secondi, è stata tolta l’immagine. Che, se non l’avete vista, era la seguente.
Bianco e nero, ovviamente. Tavolo centrale. Dietro al tavolo, di fronte alla telecamera, il giornalista, Jader Jacobelli: alla destra, per gli spettatori, un giovane Giorgio Napolitano del PCI, alla sinistra un esponente del Partito Socialista di cui non ricordo il nome; sullo sfondo venti persone, naturalmente tutti uomini – segno dei tempi. Jacobelli prende la parola, presenta i due politici e detta le regole: questa non è una trasmissione di propaganda, ma di approfondimento, in cui ognuno espone le sue ragioni per farle capire a chi ascolta e l’altro non interviene. (Il concetto è questo, se non le parole esatte). Poi si riferisce ai venti personaggi alle sue spalle e spiega che dieci appartengono al Partito Socialista e dieci al Partito Comunista. Non possono interloquire né fare domande, possono solo ascoltare. L’ho amato!
Il confronto con gli attuali talk show è stato immediato. E impietoso. Quelle di oggi difficilmente sono trasmissioni di approfondimento serio. Già il nome è indicativo: show, dunque spettacolo, intrattenimento; e talk viene inteso non come possibilità di esprimere le proprie idee in modo argomentato, ma di dare sulla voce all’altro, nell’intento di far aumentare gli ascolti. Inevitabile che mi affascini la compostezza, la signorilità delle vecchie Tribune politiche, anche se noiose.
Possibile che politici e giornalisti non riescano – se non in rari casi – a riproporre programmi come quelli, pur adeguandoli alle esigenze di una moderna comunicazione? Possibile che l’imbarbarimento sia totale e irreversibile, in ogni settore?
Oscillo continuamente tra ottimismo e pessimismo. Ad esempio: tempo fa mi aveva consolato seguire alcune Passeggiate del Direttore del Museo Egizio di Torino, Christian Greco. Caspita, mi ero detta, allora esistono ancora persone così: competenti, colte, appassionate; e umili, capaci di divulgare le proprie conoscenze coinvolgendo l’uditorio. Chissà quante ce ne sono che non appaiono e non conosco. Finché ci saranno persone così c’è speranza per l’umanità. Poi vengo a sapere che un certo Andrea Crippa, vicesegretario della Lega, vorrebbe che fosse sostituito, perché, nell’ambito di un programma di integrazione culturale, aveva deciso che le persone di lingua araba potessero entrare al Museo a prezzi scontati per tre mesi, tra il 2017 e il 2018. E allora mi dico che, se l’imbarbarimento è giunto a questi livelli, forse speranza non c’è.
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