Come il famelico squalo ha bisogno dei suoi pesci pilota, così la televisione in questi anni regge le sue stanche membra sulla vigorosa e razzente platea social. Ancor più che nei freddi e spietati dati d’ascolto Auditel che ogni mattina alle 10 rappresentano il giudizio universale per chi ha fatto tv il giorno prima, oggi è l’opinione web a decretare il successo e l’insuccesso di un prodotto che va sul piccolo schermo, sotto diversi aspetti.
Oggi conta la velocità: tutto è rapido, breve, essenziale, veloce. I programmi non sono più quelli che iniziavano alle 20.30 dopo la signorina Buonasera e finivano alle 22.30, per il tg della notte; no, no. Adesso le trasmissioni per funzionare devono essere pensate per i social, quindi scarnificabili, decontestualizzabili, spezzettabili in molteplici filmatini da postare sul web, far girare, condividere, far diventare “virali”. Non interessa rivedere il conduttore che lancia il cantante, e nemmeno il cantante che si esibisce. Interessa solo vedere i dieci secondi in cui il cantante stona.
Chi sta in poltrona per ore è ormai una semplice fetta d’ascolto, non necessariamente la più rappresentativa, mentre fa fortuna chi riesce a rimbalzare da uno smartphone all’altro coi propri contenuti anche oltre la trasmissione, chi fa parlare di sé la gente negli uffici il giorno dopo: “hai visto ieri sera quella lite?”, “hai guardato cosa è successo dalla Gruber?” e via spettegolando.
Questa pervasività social contraddistingue un programma che fa parlare di sè da uno – pur validissimo – che però rimane nei confini di palinsesto ai quali è assegnato. Per intenderci: sarà molto difficile che la mattina dopo la messa in onda, sui telefonini dei ragazzini girino delle clip di “Ulisse” di Alberto Angela, sarà molto più facile che impazzino i filmati della casa del GF: così, anche l’ascolto Auditel del momento diventa solo una delle variabili di cui tenere conto per promuovere o bocciare una trasmissione.
E poi, c’è l’aspetto della discussione che si fa intorno alla TV, quel protagonismo diffuso che ormai è irrinunciabile per larga parte degli spettatori di oggi. Non interessa più vedere le beghe sentimentali dei tronisti di Maria De Filippi e poi andarne a discutere dalla parrucchiera solo con due amiche sotto i caschi, ora i social diventano tribuna dove ognuno può e vuole sentenziare davanti a una platea potenzialmente sterminata di lettori. Un proprio giudizio – non richiesto – sulla papera della showgirl di turno, o sul look della giurata, o sulla crisi isterica del concorrente può raccogliere ampi consensi o suscitare discussioni accanite; spesso scatta la polemica, decine e decine di messaggi accalorati si affastellano sotto i post delle pagine Facebook o Instagram dei programmi e dei siterelli specializzati in gossip tv, facendo salire di giri il fatturato dei suddetti. Quello è il vero successo. Ovviamente e come sempre poi, nel mare magnum delle voci si evidenzia chi ce l’ha più forte, chi esprime il punto di vista più radicale e ingaggiante, in una spirale di virulenza espressiva che poi pervade anche il vocabolario comune delle persone. Così, l’ospite che risponde a tono a un interlocutore non più semplicemente gli “ribatte” o gli “risponde”, ma “lo asfalta”; la notiziola “spunta fuori”, “sbuca”; l’indiscrezione “smaschera”, “sfugge alla censura” e così via, in un clima vagamente complottista e di eterna attesa di un colpo di scena risolutivo che in realtà non c’è, sia che si parli del flirt tra due concorrenti di un reality o del dibattito tra due politici in un talk.
Negli anni ’50, all’arrivo sulla scena della televisione, si disse che il tubo catodico avrebbe ucciso la radio e così invece non fu. Non saranno adesso i social ad abbattere la televisione, ma certo l’hanno snaturata già un bel po’.
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