La crisi demografica, di cui prima parlava soltanto il Papa, fa finalmente notizia. Al Meeting di Rimini tre ministri ne hanno parlato, e di lì a pochi giorni a Cernobbio al Forum Ambrosetti è stato affermato che se continua così potrebbe causare il crollo di un terzo del prodotto interno lordo, trasformandosi in un’apocalisse.
È una seppur magra consolazione per chi, come me, se ne occupava da tempo. E fra l’altro si comincia anche finalmente a scoprire che si tratta non di una crisi dell’Occidente ma del mondo. Salvo l’Africa, l’India e alcuni Paesi del Medio Oriente tra cui l’Afghanistan con i suoi ben 4,7 nati per donna in età fertile, tutto il resto del mondo è in declino, tra cui la Cina, l’Indonesia, il Brasile; per non dire del crollo della Russia, dell’Ucraina e dell’Europa Orientale. E si sono fermati anche gli Stati Unti, passati tra il 1970 ad oggi – mentre le loro fondazioni diffondevano nel mondo la paura della crescita — da circa 203 a quasi 344 milioni di abitanti. Ciononostante l’Onu non osa sollevare il problema forse perché dovrebbe per questo contraddire la politica anti-natalista che da circa trent’anni la caratterizza.
La questione della natalità è oggi non meno cruciale di quella dell’ambiente e avrebbe bisogno di venire portata alla ribalta con lo stesso vigore e con lo stesso spazio. C’è in ogni caso da osservare che, sul lato del suo affronto, il problema demografico è – diciamolo ancora una volta — più culturale che politico. Altrimenti non si spiegherebbe perché nella povera Italia del 1942 e del 1943 – in guerra, con centinaia di migliaia di uomini al fronte lontani da casa, e con 40 milioni di abitanti, ossia quasi 19 milioni meno di oggi — nacque oltre il doppio dei bambini che nascono adesso. Siamo insomma di fronte ad un immane problema politico che in sostanza non si può risolvere politicamente.
Senza dubbio, tanto più in Italia dove non la si è mai fatta, occorre avviare sia nel campo fiscale che in quello dei servizi una politica favorevole alla famiglia. Tuttavia deve esser chiaro che essa può avere un impatto sulle coppie che già hanno figli e vogliono farne; non su quelle che per sfiducia nel futuro o per egoismo, o per narcisismo o per tutte e tre queste cose insieme hanno deciso di non averne.
Qui la battaglia è culturale, quindi non possono combatterla lo Stato e le altre istituzioni. La devono combattere nella società dei testimoni, dei pensatori e delle agenzie sociali. Dunque tra l’altro, ma da noi forse in primo luogo, i cristiani e la Chiesa. Sullo spunto dei richiami del Papa una lettera collettiva dei vescovi italiani sulla crisi demografica sarebbe molto utile.
www.robironza.wordpress.com
You must be logged in to post a comment Login