La lettera scoperta dopo ottant’anni nell’Archivio Apostolico toglie ogni dubbio sui cosiddetti “silenzi” di Pio XII e rischia di essere una lastra tombale sul processo di beatificazione avviato nel 1965 da papa Montini: essa dimostra che la Santa Sede era al corrente dell’eliminazione sistematica dei prigionieri nel lager di Belzec, non lontano dalla cittadina ucraina di Rava Rus’ka. Il papa dunque sapeva del tragico destino degli ebrei ma non disse nulla, non scomunicò i dittatori e non aprì bocca per tentare di fermare la deportazione di massa. Di sicuro angosciato all’idea che la denuncia peggiorasse la situazione. Ma tacque. E la Storia gliene chiede conto.
Si tratta della lettera del 14 dicembre 1942 con la quale il gesuita tedesco Lothar König riferisce al segretario personale di papa Pacelli, Robert Leiber, la statistica dei sacerdoti detenuti nei lager, menziona i campi di Auschwitz e Dachau e conferma l’esistenza dell’altoforno delle SS dove ogni giorno venivano eliminate fino a seimila persone, soprattutto polacchi ed ebrei. La lettera è stata rintracciata dall’archivista Giovanni Coco e pubblicata sulla Lettura, il settimanale del Corriere della Sera, primo e clamoroso risultato delle ricerche storiche avviate dopo che papa Francesco ha deciso di togliere i sigilli alle carte del pontificato di Pio XII.
“Stavolta si ha la certezza che dalla Chiesa cattolica tedesca arrivavano a Pio XII notizie esatte e dettagliate sui crimini che si stavano perpetrando contro gli ebrei”, spiega Coco a Massimo Franco, il giornalista del Corriere che lo ha intervistato. König e Leiber erano amici, entrambi gesuiti ed antinazisti. König faceva parte della rete della resistenza tedesca, Leiber era un ex professore alla facoltà teologica di Monaco e docente all’università Gregoriana del Vaticano, segretario del cardinale Pacelli già quando l’alto prelato dell’aristocrazia nera vaticana, futuro papa, era stato nunzio in Germania, a Monaco e a Berlino, per dodici anni.
La questione dei “silenzi” di Pio XII sulla Shoah appassiona gli storici da decenni e fu portata a teatro nel 1963 da Rolf Hochhuth con il dramma Il Vicario che spaccò le coscienze del mondo cattolico. Papa Pacelli avrebbe potuto agire con più fermezza a difesa delle vittime di Mussolini e Hitler? Fece tutto ciò che era possibile per opporsi al dilagante antisemitismo che condusse alle leggi razziali e all’Olocausto? Fu il Pastor Angelicus che rischiava la vita nel ghetto di Roma sotto le bombe alleate o un papa incerto, incapace di vedere oltre l’anticomunismo che condivideva con i due dittatori e in fondo inadeguato al grave momento storico in cui regnò?
Gli storici si chiedono se pesò il desiderio di mantenersi imparziale nei confronti delle parti in guerra (come fece Pio IX nel 1848 non autorizzando la guerra all’Austria cattolica, un’equidistanza acritica rispetto a quella assunta da papa Francesco tra la Russia e l’Ucraina aggredita); e se lo condizionò il millenario sentimento cristiano avverso agli ebrei. Di certo alla luce della lettera rintracciata nel Fondo Pacelli nessuno potrà più giustificarlo dicendo che il papa non sapeva del trattamento disumano inflitto ai prigionieri dei campi di sterminio. E si riaffaccia il realistico, inevitabile e drammatico interrogativo: Pio XII merita di proseguire il percorso canonico verso la santificazione?
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