Ma allora, i Varesini, questa autonomia la vogliono o no? Il tema ha impegnato una buona parte dell’ultimo consiglio comunale, lo scorso martedì 12, e diciamo subito che la risposta suona: “si, no, boh, probabilmente no” e a comandare sono gli schieramenti. A innescare la miccia è stata una mozione dell’ex Pd Luca Paris, da qualche mese Gruppo Misto – Cinque Stelle, contro il disegno di legge Calderoli di autonomia differenziata. Attualmente in discussione col freno tirato, il Ddl è inceppato sulla definizione dei “Lep”, i Livelli Essenziali delle Prestazioni, da garantire uguali per tutti.
Sei anni fa, il 22 ottobre 2017, nel referendum consultivo regionale, quello sostenuto da Roberto Maroni e che sperimentò l’uso dei tablet in cabina, si esprimeva a favore della riforma autonomista ben il 95,3% dei lombardi alle urne. A Varese città il 94,7%. Un trionfo dunque. Eppure no, perché solo il 38% degli aventi diritto andò al seggio in Lombardia (3 milioni e 17 mila) e in città il 37% (24.357). Un flop. Chi ha ragione? In consiglio comunale la mozione contraria al Ddl è passata, sostenuta dalla sinistra, con 15 voti a favore, 11 contrari e 2 astenuti e diversi “distinguo”. Del resto, già nel 2017, il tema dell’autonomia vedeva a favore non solo le regioni, a guida leghista, Lombardia e Veneto, ma anche l’Emilia e Romagna del Pd Bonaccini.
Già, ma “quale autonomia”? Nella sua mozione, Paris non ha lesinato le critiche a un disegno di legge che andrebbe contro alcuni articoli della Costituzione (116, 117, 119, sull’eguaglianza dei diritti sociali fondamentali) e ha sottolineato come “a un centralismo statale si sostituirebbe il centralismo delle Regioni, senza un adeguato spazio per i Comuni”. Lo stesso sindaco Pd Davide Galimberti ha rimarcato di essere stato a suo tempo a favore del referendum, ma di essere oggi preoccupato per la proposta Calderoli che non prevede tra l’altro un ruolo dei Comuni. E, se sul versante Lega restava incrollabile il sostegno alla proposta del ministro Calderoli, nel resto dello schieramento di destra emergeva qualche spiraglio di dubbio, presto rientrato man mano il dibattito si cristallizzava tra gli schieramenti. A spiazzare la maggioranza giungeva il centrista Guido Bonoldi, il delegato del sindaco per la Sanità, con un “sono per l’autonomia e non capisco perché un comune debba bloccare il progetto di una tangenziale per remore romane”.
L’aspetto curioso è che con la sua mozione, Luca Paris sostanzialmente si allinea con le posizioni che al momento del referendum erano più del suo ex schieramento (il Pd) che non di quello attuale (M5S). A dirlo è l’ analisi dei flussi condotta dopo il referendum dall’Istituto Cattaneo,- che confrontava l’atteggiamento degli elettori di due città – Varese e Brescia – classificati secondo il voto precedente, quello delle politiche del 2013.
L’indagine confermava la compattezza granitica della Lega, i cui elettori avevano partecipato senza eccezioni al voto, ovviamente in senso favorevole. Quadro già diverso per Forza Italia, dove il 22% degli elettori varesini rimase a casa (a Brescia addirittura il 71%). Entusiasticamente favorevoli erano proprio i 5 Stelle, che oggi esultano per il voto contrario di Palazzo Estense: su 100, ben 98 di loro partecipò al voto e 91 erano favorevoli (a Brescia, invece, quasi la metà, il 42% restò a casa).
Decisamente critico invece il PD varesino, che disertò in massa (il 96,4% di astensioni) e il misero 2,6% che votò era contrario: un campione che forse non comprendeva il sindaco Galimberti… Quadro analogo per la pattuglia di elettori di Sel e Rivoluzone Civile, dove solo il 6% andò al voto, tutti per il si. Anche i “montiani” di defunta memoria restarono a casa per l’87%, ma la maggior parte dei pochi votati era a favore.
Come si può notare, le indagini non comprendono il partito uscito vincitore dalle elezioni del 2022, cioè Fratelli d’Italia (25,8% a Varese). Il motivo è semplice: alle politiche del 2013, in città, dove aveva votato il 74%. Il partito di Giorgia Meloni aveva ottenuto un misero 1,3%, con La Destra allo 0,4%. Berlusconi (Pdl) era al 19,6%, la Lega al 16%. I tempi cambiano e più che al contenuto delle proposte oggi sembra che ci si voglia adeguare agli slogan. In una materia oggettivamente complessa, più che l’autonomia delle Regioni sembra essere in discussione l’autonomia di pensiero rispetto agli equilibri dei partiti. Anche all’interno delle stesse coalizioni.
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