Dopo tre volumi sostanzialmente autobiografici (Dottore è finito il diesel, 2004; La ragazza che guardava il cielo, 2011; Fatti vivo, 2015), con questo nuova opera (Sic transit, edizioni Ares, 160pp, euro 15) Alberto Reggiori si cimenta in un genere letterario, quello del dialogo, certo non popolare, ma che ha predecessori così illustri da “far tremar le vene e i polsi”: Platone, Aristotele, Sant’Agostino, Petrarca o, per stare ai secoli a noi più vicini, le Operette morali di Leopardi, I dialoghi con Leucò di Pavese…
Attento osservatore della realtà umana, ma non da sociologo – anche se in certe pagine non mancano fulminee descrizioni di micro-fenomeni sociali (es. p. 13) -, l’autore conferma la sua viva curiosità verso ciò che in mille modi e in mille forme si agita nel cuore degli uomini.
La fantasia di Reggiori dà vita a due personaggi, indicati per quasi tutto il racconto con due sole lettere, (A) per autista e (P) per passeggero, compagni di un improbabile viaggio su un vecchio Ford Transit, da cui il titolo, con godibile doppio senso.
In un trafficato lunedì mattina di fine ottobre 2019, nell’interland milanese, un elegante impiegato di una multinazionale si trova costretto a chiedere un passaggio dopo che la sua auto lo ha lasciato a piedi. Chi si ferma è tuttavia quanto di più umanamente lontano da lui. Una coda interminabile in autostrada ed altri imprevisti li costringeranno tuttavia a dialogare, in maniera sempre più profonda, confrontandosi e interrogandosi a vicenda sulle questioni più decisive della vita, “senza sconti”, come si legge nel risvolto di copertina.
L’uno è un insegnante di Lettere, decisamente free, sempre con un inelegante stuzzicadenti in bocca. Entusiasta del suo lavoro, più interessato a crescere assieme ai suoi ragazzi delle medie che ai programmi. Uomo aperto, disponibile all’imprevisto, anche se la vita non è stata tenera con lui. Dà subito del ‘tu’ all’altro, che invece continuerà con il ‘lei’ per tutto il racconto. Beve caffè doppi, con due cucchiaini di zucchero e correzione Sambuca.
L’uomo di finanza appare invece chiuso, formale, cinico per delusione e necessità più che per convinzione. Consapevole di essere mediocre, è rassegnato ad esserlo. Impietoso con sé, ricorda un po’ gli inetti di Svevo, ma con maggiore drammaticità. Beve solo caffè deca, senza zucchero
Lungo le pagine del libretto – che nelle sue 160 pagine e nel formato appare breve a prima vista, ma poi quasi ognuno dei 21 capitoletti costringe a fermarsi – i due protagonisti vengono approfonditi nella loro umanità, nelle loro vicende, nel loro modo di porsi di fronte alla vita…
Coraggiosa e originale – con qualche debito nei confronti del Maestro e Margherita di Bulgakov – è la scelta di inserire una trentina di pagine sulla passione, morte e resurrezione di Cristo, in una sorta di “presa diretta”…
Né mancano immagini suggestive, per non dire poetiche, come lo sguardo della bambina ai due in centro a Milano (p. 53) o Gesù che vede sua madre sotto la croce (p. 75).
L’ora blu e Firmamento sono due capitoletti fra i più convincenti sul piano descrittivo, forse perché ambientati al Sacro Monte varesino, che Reggiori conosce bene e ama. Ma quello più riuscito, a giudizio di chi scrive, è Da secoli, in cui, in tre paginette, l’autore riesce a trasmettere al lettore la drammatica intensità dell’esperienza degli occhi di un uomo che incontrano lo sguardo di Cristo.
Parafrasando la nota domanda di Dostoevskij si potrebbe dire che il libro ruoti attorno a questo interrogativo: “Può un uomo del XXI secolo, istruito, un uomo che lavora nella finanza, credere veramente che Gesù di Nazaret è il Figlio di Dio, nato, morto e risorto?” Nelle pagine non è data risposta, ma in esse si scorge la strada lungo la quale ognuno può cercarla.
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